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giurisprudenza

In dubbio pro-reo il principio di presunzione di non colpevolezza vale anche in sede disciplinare (C.N.F., Sent., 26 febbraio 2024, n. 35)

Con la sentenza n. 35 del 26 febbraio 2024 il C.N.F. ha ribadito alcuni importanti principi in tema di responsabilità disciplinare dell’avvocato, ribadendo la natura accusatoria del procedimento disciplinare.

Nello specifico, il C.N.F. ribadisce che -ove venga ritenuta insufficiente l’acquisizione di prove certe ovvero se ne rilevi la contraddittorietà tra le medesime circa la sussistenza di un fatto su cui si fonda l’asserita violazione di una o più disposizione del Codice Deontologico vigente ratione temporis, sussiste ed è fondato il ragionevole dubbio in ordine alla responsabilità dell’incolpato, che pertanto va prosciolto dall’addebito di che trattasi.

La fattispecie in sintesi: l’avvocato ricorrente impugnava con tre motivi la sentenza del CDD di Roma con cui il medesimo veniva sospeso dall’esercizio della professione forense per due anni e 6 mesi sulla scorta delle valutazioni rese in sede penale che, in due paralleli procedimenti a suo carico, lo avevano riconosciuto responsabile di bancarotta fraudolenta distrattiva (il medesimo, difatti, era stato qualificato e riconosciuto amministratore di fatto di una società che aveva ceduto tutti i beni ad una società dal medesimo partecipata in un regime di “monopolio” imprenditoriale improntato al proprio vantaggio anziché a quello della società cedente, poi fallita).

Si doleva, col primo motivo, che il CDD di Roma avesse recepito la condanna penale “appiattendosi” sulla stessa, pur “non passata in giudicato quanto al capo 2 e su esiti istruttori non conclusi, ed in particolare sulla sola testimonianza dell’Ufficiale di PG, quanto al capo 1, con ciò considerando quindi provate condotte di tipo gestorio in conflitto di interessi volte a realizzare un’appropriazione indebita di denaro che, al contrario, non sono mai state poste in essere dall’incolpato” e, con il secondo motivo, dell’erronea ed eccessiva applicazione della sanzione disciplinare comminata in quanto si sarebbe dovuta applicare per le condotte contestate la sanzione dell’art. 24 CDF (1 a 3 anni) atteso che l’art. 30 CDF prevede la stessa sanzione massima per le sole ipotesi di cui al comma 3, non contestato; nondimeno, non sarebbero state rilevate nemmeno condotte integranti quanto previsto dall’art. 24 CDF.

Il C.N.F. accoglie parzialmente il ricorso del ricorrente in quanto in entrambi i due processi penali a suo carico, come da documentazione prodotta in giudizio, non emergono prove certe ed univoche in ordine alla sussistenza delle condotte violative del regolamento disciplinare al medesimo ascritte: non essendo possibile, quindi, dimostrare la responsabilità del ricorrente per le predette violazioni deontologiche deve prosciogliersi dagli addebiti poiché per l’irrogazione della sanzione disciplinare non è onere dell’incolpato dimostrare la propria innocenza, spettando invece al CDD verificare e dimostrare in modo compiuto ed inequivoco la sussistenza e l’addebitabilità dell’asserito illecito deontologico.

A cura di Andrea Goretti