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giurisprudenza

Indennità di maternità: criteri di calcolo adottati prima e dopo la legge n. 289 del 2003 (Cass., Sez. Lav., 17 dicembre 2007, n. 26568)

La sentenza che di seguito pubblichiamo respinge il ricorso presentato dalla Cassa di Previdenza e Assistenza Forense nei confronti di una Collega, che aveva chiesto la condanna del suddetto ente al pagamento di una somma a titolo di differenza rispetto a quanto liquidatole per l’indennità di maternità. La Cassa, infatti, nel liquidare la somma, aveva stabilito che dal calcolo del reddito utile per la determinazione dell’indennità di maternità restava esclusa la quota eccedente la parte assoggettata alla contribuzione del 10%, utile, invece, ai fini pensionistici.
La Suprema Corte, nel decidere la controversia, ha ripercorso l’evoluzione della disciplina in materia. In un primo tempo, spiega la Cassazione, la giurisprudenza si era orientata ad ammettere nei criteri di calcolo non solo i redditi derivanti dallo svolgimento di attività professionale in senso proprio, ma anche quelli provenienti dallo svolgimento dell’attività professionale in forma di impresa. In questo modo, però, si erano venute a creare delle sperequazioni che il Legislatore ha ritenuto di superare con la L. n. 289 del 15/10/2003. Legge che, oltre ad introdurre un tetto massimo d’indennità (cinque volte l’importo minimo), ha individuato un criterio temporale più stabile per l’individuazione del reddito di riferimento, che è quello del secondo anno precedente il momento dell’evento (e non più il momento di presentazione della domanda), nonché ha previsto l’obbligo di calcolare l’indennità sul solo reddito professionale derivante da lavoro autonomo. Tuttavia, come nel caso oggetto della presente sentenza, per il calcolo delle indennità di maternità anteriori al 2003, occorrerà fare riferimento all’intero reddito professionale percepito e denunciato ai fini fiscali nel secondo anno precedente la domanda dell’indennità, senza alcun massimale.

A cura di Sara Fabbiani

Allegato:
26568-2007