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giurisprudenza

L’avvocato che simuli l’avere intentato e vinto una causa dopo aver ricevuto un anticipo, non risponde di truffa (Cass., Sez. II Pen., 3 maggio 2011, n. 17106).

Un avvocato aveva simulato con dei clienti, dopo il conferimento del mandato ed aver percepito da questi un acconto, di avere intentato una causa civile. Addirittura dopo 10 anni, dietro numerosi solleciti, affermava di averla vinta, allo scopo anche esibendo un presunto ordine di pagamento del Giudice ed un mandato di pagamento del competente istituto bancario e fissando con essi numerosi appuntamenti presso lo studio, sempre disattesi per le scuse più varie (tra cui allarme bomba al Tribunale, motivi di salute, assenza della segretaria etc.). Stessa sorte, per mesi, subivano gli incontri presso la banca per incassare l’asserito dovuto. Il legale veniva così condannato in primo ed in secondo grado (sentenza confermata) per i reati di truffa aggravata, falsità in scrittura privata e patrocinio infedele. Impugnata la sentenza avanti la Corte di Cassazione, questa annullava senza rinvio, trasmettendo gli atti alla Corte di Appello competente al fine di rideterminare la pena per il reato di falsità in scrittura privata, l’unico raffigurabile in detta condotta. Ritiene infatti la Corte che la truffa non sussista in quanto gli artifizi e raggiri non vennero posti in essere per l’impossessamento degli acconti, percepiti “regolarmente” prima di potere ancora intraprendere la causa e necessario profitto che deve essere frutto degli inganni stessi. Essendo artifizi e raggiri posti in essere dopo, al fine di mascherare l’illecita condotta omissiva, il percepimento del profitto poteva dunque al massimo essere configurato come un’ipotesi di peculato o di appropriazione indebita, dunque fatti diversi da quelli contestati. In più il legale offrì anche, a tacitazione della vicenda, una somma di denaro alle parti, che venne rifiutata. L’episodio andava dunque visto, afferma la Corte, quale inadempimento contrattuale da risolversi in sede civile. La Corte inoltre non riteneva configurabile nemmeno l’ipotesi di infedele patrocinio, giacchè non vi era pendente alcun procedimento, elemento questo costitutivo, secondo l’orientamento giurisprudenziale seguito in questa pronuncia, del reato di cui all’art. 380 c.p. Restava così la sola ipotesi di falso, per i documenti esibiti e consegnati ad una delle parti processuali in quanto scritture formate dal privato che si riferiscono a situazioni da cui possono derivare effetti giuridicamente rilevanti per un determinato soggetto.

A cura di Giacomo Passigli

Allegato:
17106-2011