Con la pronuncia in oggetto la Corte di Cassazione affronta il tema dell’applicazione delle sanzioni disciplinari in conseguenza della violazione di norme penali.
Nel caso di specie un avvocato veniva condannato in sede penale per violenza sessuale di “minore gravità” a 6 mesi di reclusione e interdizione dai pubblici uffici e dalla professione, con pena sospesa.
L’avvocato veniva quindi sottoposto anche a procedimento disciplinare all’esito del quale il Consiglio di disciplina comminava la più lieve sanzione dell’avvertimento. L’applicazione della sanzione era motivata dalla violazione sia dell’art. 9 che dell’art. 63 del Cod. deontologico, norme poste a tutela della salvaguardia del decoro e della dignità professionale anche nei rapporti con i terzi. La decisione veniva però impugnata di fronte al Cnf che accogliendo il ricorso del Procuratore generale sanzionava il legale con la sospensione dall’esercizio della professione per sei mesi. Il Cnf infatti nella propria decisione riteneva violata anche la disposizione più generale prevista all’4 co. II del Codice deontologico in relazione alla consapevole violazione della legge penale da parte del legale.
L’avvocato faceva pertanto ricorso in Cassazione per ottenere la riforma della sentenza. In particolare con il terzo motivo di impugnazione si criticava l’inquadramento giuridico proposto dal CNF nella parte in cui si riteneva che l’illecito ascritto al legale non rientrasse tra quelli previsti all’artt. 9 e 63 del Cod. deontologico, ma bensì fosse ascrivibile tra le violazioni “tipiche” previste dal combinato disposto degli artt. 4, co. II (violazione consapevole della legge penale) e art. 9, co. II (violazione dei doveri di dignità e decoro) del cod. deontologico. La Corte di Cassazione nel respingere il ricorso, ricorda come l’illecito disciplinare deve essere considerato necessariamente di carattere atipico e che pertanto il giudice disciplinare è sempre libero di individuare l’esatta configurazione della violazione in riferimento alle clausole generali, alle diverse norme deontologiche ed infine anche di ravvisare un fatto disciplinarmente rilevante in condotte atipiche non previste da dette norme (cfr. Cass. civ. sez. un. 15852/2009).
Per tali motivi la Corte di Cassazione ha ritenuto condivisibile la scelta del CNF di sussumere la fattispecie contestata in sede penale nella previsione deontologica più generale prevista all’art. 4, co. II, e corretta l’applicazione della sanzione più grave della sospensione dall’esercizio della professione per la durata di sei mesi.
A cura di Brando Mazzolai