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giurisprudenza

La Corte di Cassazione delinea i profili sulla responsabilità professionale dell’avvocato nei casi di condotta omissiva (Cass. Sez. III, Ord., 21 gennaio 2020, n. 1169)

Con la sentenza n. 1169 del 21 gennaio 2020, la Corte di Cassazione è tornata a ridefinire i contorni della responsabilità professionale dell’avvocato nei casi di condotta omissiva.
Il giudizio in oggetto traeva origine dalla domanda di risarcimento danni avanzata da un cliente nei confronti del proprio legale che lo aveva assistito nell’ambito di un precedente processo. In particolare, il cliente addebitava alla negligenza dell’avvocato la responsabilità della propria soccombenza in quanto ne contestava il comportamento omissivo ritenuto determinante ai fini dell’esito infausto della causa risarcitoria.
Se in primo grado veniva accolta la domanda volta a conseguire la declaratoria di responsabilità del legale, la Corte di Appello ne rigettava la domanda attorea.
Veniva poi presentato ricorso in Corte di Cassazione. I giudici di legittimità nel respingere il ricorso si pronunciavano facendo riferimento a quanto già statuito nella precedente sentenza n. 2638/2013. Nella pronuncia in commento si è infatti ribadito il seguente principio di diritto secondo cui la responsabilità omissiva dell’avvocato non può affermarsi solo sulla base di un non corretto adempimento dell’attività, dovendosi anche verificare «se, in assenza di tale condotta negligente, il giudizio si sarebbe potuto concludere, secondo criteri probabilistici, diversamente ed in maniera favorevole alla parte». La Corte di Cassazione ha ricordato come, in tema di responsabilità professionale dell’avvocato per omesso svolgimento di un’attività, sia necessario applicare il principio del ‘più probabile che non’ in due momenti ben distinti. Tale valutazione infatti non si deve limitare solo all’accertamento del nesso di causalità fra l’omissione e l’evento di danno, ma deve estendersi anche all’accertamento del nesso causale tra il danno e le conseguenze dannose risarcibili, da valutare attraverso « un giudizio prognostico sull’esito che avrebbe potuto avere l’attività professionale omessa ».
In conclusione al netto di ogni altra considerazione, la Corte di Cassazione ha ritenuto di non dover individuare a capo dell’avvocato alcuna responsabilità professionale poiché anche qualora si fosse esercitato il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua dei suddetti criteri probabilistici, non avrebbe comunque conseguito alcun positivo riconoscimento delle proprie ragioni.

A cura di Brando Mazzolai