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giurisprudenza

La Corte di legittimità compone il conflitto in ordine al criterio per la determinazione del valore delle controversie ai fini della liquidazione dei compensi professionali (Cass., Sez. Un., 11 settembre 2007, n. 19014)

Le Sezioni Unite intervengono ancora sulla questione della determinazione del valore delle controversie ai fini della liquidazione delle spese processuali.
Già con la sentenza 16300/2007 (in Questa rivista n. 4/2007) la Corte aveva esaminato il problema relativamente alle cause di opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento. Il caso in esame, tuttavia, è più ampio e riguarda il criterio generale che il Giudice deve seguire al fine di determinare il valore delle controversie per individuare lo scaglione di tariffa applicabile e provvedere alla liquidazione delle spese.
In via pregiudiziale la Suprema Corte ha affrontato la questione se la natura regolamentare della normativa forense in tema di tariffe consenta o meno il suo sindacato sotto il profilo della violazione di legge. La Corte ha deciso in senso affermativo: il Decreto Ministeriale si riempie di contenuto recependo la specifica delibera del Consiglio Nazionale Forense ed elevandola a rango di norma regolamentare.
Sul merito del conflitto, due erano gli orientamenti in contrasto: da un lato, quello che ritiene applicabile il criterio del disputatum, ossia l’oggetto della domanda al momento iniziale della lite senza che rilevino le successive modificazioni e/o riduzioni della domanda; dall’altro, quello che ritiene applicabile il criterio del decisum, ossia la somma in concreto attribuita alla parte vittoriosa.
Facendo leva sulla disposizione del primo comma dell’art. 6 della tariffa civile secondo cui: “Nella liquidazione degli onorari a carico del soccombente, il valore della causa è determinato a norma del Codice di Procedura Civile, avendo riguardo … nei giudizi per pagamento di somme o liquidazioni di danni, alla somma attribuita alla parte vincitrice piuttosto che a quella domandata”, la Corte ha ritenuto che il criterio da utilizzare sia quello del decisum, quale criterio più coerente con l’impianto normativo che disciplina la liquidazione delle spese processuali (art. 60 r.d.l 27 novembre 1933, n. 1578; art. 9 L. 13 giugno 1942, n. 794) ed adeguato a proporzionare gli onorari al valore reale della vertenza.
Ha escluso, quindi, il criterio del disputatum in ragione della sua diversa funzione di criterio determinativo del giudice competente.
Il criterio del decisum, continua la Corte, è criterio generale che trova applicazione anche nel caso in cui il giudizio prosegua soltanto per una parte dell’originaria domanda: in questo caso esso fissa il valore della causa in appello adeguando così il thema decidendum al valore reale della lite; le uniche deroghe all’operatività del criterio del decisum si hanno nel caso in cui l’entità del credito originario rimane immutata per tutto il corso del giudizio, oppure la vertenza sia definita per cessata materia del contendere.
Analoghe considerazioni, conclude la Corte, valgono anche nell’ipotesi in cui il giudizio prosegua avendo solo per oggetto la determinazione delle spese processuali pregresse da recuperare: il decisum della domanda originaria, benché diventi disputatum della vertenza in atto, fissa comunque il valore effettivo della controversia nel grado; se poi il giudice dell’impugnazione accoglie solo in parte il gravame sarà il decisum a fissare il valore reale della controversia.

A cura di Niccolò Andreoni

Allegato:
19014-2007