La sentenza che di seguito pubblichiamo affronta l’importante problematica della responsabilità del professionista nei confronti del cliente e soprattutto si sofferma sulla specifica questione della ripartizione dell’onere della prova, individuandone i criteri con particolare riferimento all’espletamento dell’attività professionale forense.
In materia di responsabilità del professionista, il cliente è infatti tenuto a provare non solo di aver sofferto un danno, ma anche che questo è stato causato dalla insufficiente o inadeguata attività del professionista e cioè dalla difettosa prestazione professionale. In particolare, trattandosi dell'attività del difensore, l'affermazione della sua responsabilità implica l'indagine – positivamente svolta – sul sicuro e chiaro fondamento dell'azione che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente coltivata e, quindi, la certezza che gli effetti di una diversa attività del professionista medesimo sarebbero stati più vantaggiosi per il cliente, rimanendo, in ogni caso, a carico del professionista l'onere di dimostrare l'impossibilità a lui non imputabile della perfetta esecuzione della prestazione.
In definitiva l’avvocato deve considerarsi responsabile nei confronti del proprio cliente, ai sensi degli artt. 2236 e 1176 cod. civ., in caso di incuria o di ignoranza di disposizioni di legge ed, in genere, nei casi in cui per negligenza o imperizia comprometta il buon esito del giudizio, mentre nelle ipotesi di interpretazione di leggi o di risoluzioni di questioni opinabili, deve ritenersi esclusa la sua responsabilità, a meno che non risulti che abbia agito con dolo o colpa grave.
A cura di Sara Fabbiani