La vicenda vede coinvolto un Collega sanzionato dal CDD di appartenenza con la sospensione dalla professione per due anni a seguito di diversi procedimenti disciplinari riuniti, che lo riconoscevano colpevole di aver reiterato minacce di morte all’ex convivente ed ai suoi figli, persino con il ricorso alla criminalità organizzata internazionale, dopo che la donna aveva deciso di non voler proseguire la relazione affettiva con il ricorrente, essendosi riconciliata con il marito.
Il CNF richiama l’orientamento già espresso dalla Corte di Cassazione (ord. n. 17115/2017), secondo cui “il nuovo Codice Deontologico Forense è informato al principio della tipizzazione della condotta disciplinarmente rilevante e delle relative sanzioni, ‘per quanto possibile’ (art. 3, co. 3, L. 247/2012), poiché la variegata e potenzialmente illimitata casistica di tutti i comportamenti (anche della vita privata) costituenti illecito disciplinare non ne consente una individuazione dettagliata, tassativa e non meramente esemplificativa“. Conseguentemente, “la mancata descrizione di uno o più comportamenti e della relativa sanzione non genera l’immunità, giacché è comunque possibile contestare l’illecito anche sulla base della citata norma di chiusura, secondo cui “la professione forense deve essere esercitata con indipendenza, lealtà, probità, dignità, decoro, diligenza e competenza, tenendo conto del rilievo sociale e della difesa e rispettando i principi della corretta e leale concorrenza“.
Il CNF, pertanto, conferma la sanzione della sospensione dall’esercizio della professione (riducendola ad un anno), affermando che “costituisce (anche) grave illecito disciplinare, perché lede i principi di dignità, probità e decoro (art. 9 cdf) con conseguente pregiudizio per l’immagine e la dignità dell’intero ceto forense, il comportamento dell’avvocato che minacci di morte una persona e i suoi tre figli (nella specie, mediante l’asserito intervento della criminalità organizzata internazionale)“.
A cura di Costanza Innocenti