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giurisprudenza

L’illegittima condotta di una Cassa di Previdenza può fondare il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale in capo al danneggiato (Cass., Sez. Lav. 10 febbraio 2010 n. 3023)

La pronuncia in commento afferma un interessante principio in materia di diritto al risarcimento del danno (morale).
Nella fattispecie in esame, un professionista, che per alcuni anni è stato dipendente presso un’Amministrazione pubblica, volendo cessare tale rapporto per ricominciare l’esercizio privato della professione, aveva formulato alla sua Cassa di previdenza privata istanza di ricongiungimento dei periodi contributivi; segnatamente, lo stesso aveva richiesto la riunione del periodo precedente all’assunzione presso l’Ente pubblico con quello successivo. La Cassa previdenziale aveva tuttavia rigettato la detta istanza.
Il professionista adiva pertanto la via giurisdizionale, ottenendo la declaratoria di illegittimità di tale rigetto; lo stesso richiedeva quindi alla medesima Cassa il risarcimento del danno, in quanto il rigetto opposto e dichiarato illegittimo aveva impedito la cessazione del suo rapporto lavorativo e anzi lo aveva costretto, nelle more, a continuare a prestare la sua attività per ulteriori otto anni.
La Suprema Corte, nell'accogliere le pretese dell'originario ricorrente e per l'effetto condannare la Cassa al ristoro (determinato in via equitativa) del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c., stabilisce in particolare che nel caso descritto il diritto al risarcimento non deriva, come preteso dalla Cassa resistente, dal ritenere quale "danno" in sé la permanenza in servizio del professionista causata dal diniego opposto dall'Ente previdenziale a fronte del richiesto collocamento a riposo, e quindi dal considerare la prestazione di lavoro come fonte di nocumento alla persona; è piuttosto la condotta che ha impedito al lavoratore di "adottare una legittima scelta di vita", che ha causato la "lesione di specifici interessi costituzionalmente protetti, fra cui quello di poter realizzare liberamente una propria, legittima, opzione di vita": trattasi, si legge, di posizioni riconducibili al novero dei diritti fondamentali della persona, garantiti in via primaria dalla nostra Costituzione.
Ciò, ovviamente, con la premessa che la fattispecie risarcitoria di cui all’art. 2059 c.c. è da ritenersi (come ormai chiarito dalla giurisprudenza) del tutto autonoma “dalla concreta esistenza del fatto reato”, come ormai chiarito a partire dalle pronunce della Corte di Cassazione nn. 8827 e 8828 del 31.5.2003.
Ritenuta, nei termini anzidetti, la sussistenza dell'elemento oggettivo del fatto illecito produttivo del danno, la Cassazione ritiene altresì sussistente l’elemento soggettivo, sub specie di imperizia, e quindi di colpa, in quanto il diniego della Cassa è stato oggetto di pronuncia giurisdizionale di illegittimità, e non è stato supportato da alcun elemento (prassi, circolari interne, pronunce giurisprudenziali etc.) idoneo a corroborare l’adottata interpretazione negativa per il professionista.

A cura di Mauro Mammana