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giurisprudenza

Natura normativa delle disposizioni del Codice Deontologico Forense e rilevanza disciplinare della frazionalibilità della tutela giudiziaria del credito (Cass., Sez. Un., 20 dicembre 2007, n. 26810)

Con la pronuncia in rassegna le Sezioni Unite intervengono a comporre il conflitto in merito alla natura delle norme del Codice Deontologico Forense.
Già con la sentenza 19014/2007 (in Questa rivista n. 5/2007) la Corte aveva affrontato il problema della natura normativa o meno rispetto alle disposizioni delle tariffe professionali.
Nel caso di specie il problema posto è analogo a quello esaminato dalla pronuncia citata atteso che l’individuazione della natura normativa o meno delle disposizioni del Codice Deontologico incide sia sui vizi denunciabili in Cassazione sia sul tipo di sindacato che la stessa Corte è chiamata a svolgere.
Sul piano del conflitto, due gli orientamenti in contrasto: da un lato, quello che non riconosce natura normativa alle disposizioni del Codice Deontologico, se non recepite direttamente dal legislatore, con la conseguenza che dette disposizioni avendo natura pattizia andrebbero interpretate secondo gli artt. 1362 c.c. e segg,; dall’altro, quello che invece riconosce natura normativa alla disposizioni deontologiche ed impone quindi come canoni ermeneutici quelli contenuti nell’art. 12 delle preleggi.
La scelta di uno o dell’altro indirizzo ha grosse conseguenze poiché, come è stato accennato, essa incide sul tipo di violazione censurabile in sede di legittimità e quindi sulle modalità del sindacato che la Corte è chiamata a svolgere; ed infatti: seguendo il primo indirizzo può essere denunciato in Cassazione il vizio di violazione di legge per l’errata applicazione dei canoni interpretativi ed il vizio di motivazione; mentre seguendo il secondo indirizzo è denunciabile in Cassazione soltanto il vizio di violazione di legge nell’applicazione delle norme deontologiche.
La Corte ha ritenuto di aderire al secondo orientamento ora esposto ed ha riconosciuto la natura normativa delle disposizioni in questioni facendo leva sulla tecnica adottata dal legislatore, in questo caso della norma legislativa in bianco: grazie alla delega attribuita dalla legge statale al CNF in tema di potere disciplinare le disposizioni del codice deontologico costituiscono esplicitazioni integrative dei precetti legislativi con la conseguenza che assumono valore di legge e ne seguono i criteri interpretativi.
La pronuncia assume particolare interesse anche per l’interpretazione del canone n. 49 del Codice Deontologico Forense che, come è noto, vieta al professionista di aggravare con onerose e plurime iniziative giudiziali la situazione debitoria della controparte (nel caso di specie il professionista aveva notificato tanti atti di precetto quante erano le cambiali scadute invece che promuovere una unica azione onerando così il debitore di maggiori spese.).
La Corte, confermando la sanzione disciplinare irrogata al professionista ha ritenuto che l’attivazione di plurimi atti di precetto inerenti lo stesso debito costituisce un comportamento sanzionabile ai termini dell’art. 49 del Codice poiché l’espressione “plurime azioni giudiziali” va riferita a tutti gli atti, anche prodromici, al giudizio esecutivo.
L’interpretazione fornita dalla Corte assume particolare rilevanza sopratutto in riferimento alla recente pronuncia n. 23726/2007 (in Questa rivista n. 5/2007) con la quale la medesima Corte ha ritenuto inammissibili, sul piano civile, perché contrari ai principi di buona fede e correttezza, la pluralità di decreti ingiuntivi contro il debitore inerenti lo stesso credito.

A cura di Niccolò Andreoni

Allegato:
26810-2007