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giurisprudenza

Prestazioni professionali e foro del consumatore: questione di competenza? (Tribunale di Monza, Sentenza 19 luglio 2007, n. 2365 e Tribunale di Roma, Sezione XI Civile, Sentenza 8 aprile 2008, n. 7436)

Con le due pronunce qui edite il Tribunale di Monza prima, e il Tribunale di Roma poi, hanno affrontato la questione della competenza per territorio delle cause tra avvocato e cliente promosse dal primo per il pagamento dei propri onorari rispetto all’art. 33 comma 2 lett. u) del D.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, c.d. Codice del Consumo.
Come è noto il Codice del Consumo costituisce la normativa speciale a tutela del consumatore e l’art. 33 citato impone, nelle vertenze che lo vedono coinvolto, come foro speciale quello del luogo di residenza di quest’ultimo.
È anche noto che nelle vertenze tra avvocato e cliente la normativa del codice di procedura civile, ed in particolare l’art. 637 comma 2 e 3 c.p.c. prevede, per i procedimenti ingiuntivi promossi dagli avvocati (o dai notai) per il pagamento dei propri onorari, come foro speciale, quello del luogo ove ha sede il Consiglio dell’Ordine in cui l’avvocato (o il notaio) è iscritto.
Nelle due pronunce, pertanto si affrontano i rapporti tra i fori previsti nel codice di rito ed il foro del consumatore in ordine alle controversie tra avvocato e cliente promosse per il pagamento degli onorari.
Il Tribunale di Monza risolve la questione di competenza affermando che l’art. 637 c.p.c., proprio per l’effetto dell’art. 33 cit. sia applicabile soltanto nel caso in cui la residenza del cliente coincida con quella del luogo ove ha sede il COA in cui l’avvocato è iscritto; ove non coincidano le residenze opera l’art. 33 cit. essendo la controversia tra avvocato e cliente una vertenza tra professionista e consumatore.
Il Tribunale di Roma, invece, risolve la questione diversamente e ragionando sui rapporti tra i fori individua un rapporto di incompatibilità tra l’art. 33 cit. e l’art. 637 c.p.c (includendovi anche l’art. 28 della L. 794/42) poiché dette norme stabiliscono due fori speciali. Per risolvere l’incompatibilità tra i due fori il Tribunale di Roma ha esaminato la vigenza della norma dell’art. 637 c.p.c. a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 33 cit. (norma già in vigore nell’ordinamento sottoforma dell’art. 1469bis comma 2, n. 19 c.c.). Una volta accertata la vigenza della norma dell’art. 637 c.p.c. (e dell’art 28) ha escluso che l’art. 33 cit. potesse operare dato che nell’intenzione del legislatore non vi fosse quel favor tale da dare prevalenza al foro del consumatore.
Due pronunce contrastanti, quindi, che rispettivamente affermano ed escludono la operatività dell’art. 33 cit., ai fini della competenza per territorio, nelle vertenze tra avvocato e cliente promosse in via monitoria dal primo per il pagamento dei propri onorari.
Tuttavia il dato interessante di entrambe le pronunce, rispetto alla questione di competenza, è rappresentato dall’inquadramento della vertenza tra avvocato e cliente in quella tra professionista e consumatore.
Il Tribunale di Monza, infatti, non da per scontato il rapporto ma applica l’art. 33 cit. soffermandosi a verificare se esso sia inquadrabile in un rapporto di consumo. Interessante è il ragionamento effettuato poiché il Giudice si sofferma ad esaminare la posizione soggettiva dell’avvocato e del cliente qualificandoli come professionista e consumatore: il primo perchè è un professionista ed il secondo perché ha utilizzato un contratto previsto dalla disciplina del consumatore per svolgere la sua prestazione.
Il Tribunale di Roma, invece, sebbene non giunga ad applicare l’art. 33 cit., sembra dare per scontato che la vertenza tra avvocato e cliente sia inquadrabile nelle controversie tra professionista e consumatore; esso non si pronuncia sul rapporto e neanche lo prende in considerazione per vagliarne la sussistenza ma anzi lo considera pacifico in virtù del fatto che altrimenti non avrebbe potuto rilevare l’incompatibilità tra le norme.
Dall’esame della normativa del Codice del Consumo non sembra, però, che le controversie tra avvocato e cliente possano essere inquadrate in quelle tra professionista e consumatore così come deciso dai due Tribunali.
In particolare la normativa generale (artt. da 1 a 3) del D.lgs 206/2005 non sembra lasciare spazi per inquadrare il rapporto tra avvocato e cliente in un rapporto di consumo: infatti, la definizione di “prodotto”, di cui all’art. 3 lett. e) esclude in modo categorico che il predetto rapporto sia di tale natura poiché circoscrive la prestazione di servizi allo svolgimento di una attività commerciale.
Se dunque il Codice del Consumo circoscrive il risultato dell’attività professionale nell’ambito dell’attività commerciale è lecito dedurre che non possano essere annoverate le professioni intellettuali poiché il risultato dell’attività professionale intellettuale non è attività commerciale; del resto il codice quando elenca i settori di applicazione di detti principi individua ambiti e spazi propri delle attività commerciali e non delle attività professionale intellettuali.
L’equivoco di fondo, tuttavia, che lascia inquadrare le vertenze tra avvocato e cliente in quelle tra professionista e consumatore pare essere generato dal far coincidere la definizione di “professionista” con quella di prestatore d’opera intellettuale: sebbene quest’ultimo sia qualificabile come professionista occorre tener presente che il prestatore d’opera intellettuale non svolge attività commerciale.
È pur vero che nella definizione di “professionista” e “consumatore” sembra potersi rispettivamente inquadrare l’avvocato ed il cliente ma è anche vero che la nozione di professionista è generica e prende corpo quando è messa in relazione con l’attività da esso in concreto esercitata: così come il Codice del Consumo individua il rapporto di consumo in quello scaturente da un rapporto reso in ambito commerciale allo stesso modo occorre escludere da tale forma di rapporto quello tra avvocato e cliente.
Si tenga presente, poi, che il rapporto tra avvocato e cliente non è di contrapposizione ma di collaborazione e basato sull’intuitus personae, requisiti estranei all’attività commerciale in senso stretto verso cui è orientato il Codice del Consumo.
L’inquadramento delle vertenze tra avvocato e cliente in quelle tra professionista e consumatore, al di là della questione di competenza, porrebbe seri problemi di coordinamento (soprattutto in tema di tariffe ed eventuali pattuizioni sui compensi) tra la disciplina del Codice del Consumo e quella professionale recentemente modificata. 

A cura di Niccolò Andreoni