Con la sentenza n. 24670 del 13 settembre 2024 la terza sezione della Corte di Cassazione si è pronunciata in materia di responsabilità professionale dell’avvocato enunciando il seguente principio di diritto:
“non costituisce un interesse giuridicamente tutelabile quello a proporre una impugnazione infondata; ne consegue che la tardiva proposizione, da parte dell’avvocato, di un appello privo di ragionevoli probabilità di accoglimento non costituisce per il cliente un danno risarcibile, e non fa sorgere per l’avvocato un obbligo risarcitorio, nemmeno sotto il profilo della perdita della chance della mera partecipazione al giudizio di impugnazione”.
La fattispecie in sintesi: il ricorrente evocava in giudizio avanti il Tribunale di prime cure il proprio ex legale per vederlo condannare al risarcimento del danno per responsabilità professionale, in quanto ritenuto responsabile di non aver predisposto con la dovuta diligenza e perizia il ricorso in Cassazione per la riforma di una pronuncia che vedeva il ricorrente soccombente: in particolare, nel predetto ricorso il legale non avrebbe formulato un motivo di ricorso ritenuto, altresì, decisivo dal ricorrente causando così il rigetto del ricorso.
Il giudizio di primo grado, così come il secondo, escludevano la responsabilità del legale in ragione della mancata dimostrazione che un’impugnazione diversamente articolata e scevra di pretesi errori giuridici ed omissioni avrebbe avuto un’elevata probabilità di accoglimento in sede di giudizio di legittimità
Il ricorrente, quindi, ha interposto ricorso avanti la Suprema Corte articolando ben 6 motivi di ricorso.
La Corte, all’esito di una compiuta motivazione, ha rigettato il ricorso.
Nello specifico, la Suprema Corte – sul presupposto che l’obbligazione dell’avvocato è di mezzi e non risultati, per cui il legale si impegna a svolgere il proprio mandato con diligenza e perizia ma non può garantire la vittoria al cliente – afferma che se l’avvocato fa scadere i termini per un’impugnazione (come, in effetti, nel caso di specie) l’eventuale danno risarcibile deve essere dimostrato secondo la regola del più “probabile che non”: pertanto, deve esserci la dimostrazione del nesso causale che una difesa strutturata secondo la dovuta diligenza avrebbe portato alla vittoria della causa.
La responsabilità dell’avvocato, quindi, va dimostrata in concreto e non in astratto, considerando con attenzione le effettive possibilità di successo dell’azione che non è stata proposta ovvero che è stata proposta senza le dovute accortezze.
In caso di omessa impugnazione e di responsabilità dedotta come sopra, l’eventuale danno risarcibile si concretizza nella perdita della probabilità di ottenere un risultato favorevole poiché l’interesse tutelato è il “riconoscimento delle proprie ragioni” o “vittoria della causa” non la mera partecipazione al giudizio.
Per cui, visionato e constatato tutto quanto dedotto nei precedenti gradi di giudizio (in particolare le motivazioni della sentenza d’appello), la Suprema Corte ha ritenuto che il ricorrente non avesse dimostrato il nesso causale fra la mancata proposizione del motivo di ricorso, il rigetto del ricorso in Cassazione e il danno lamentato dal ricorrente, enunciando il summenzionato principio di diritto.
Per questi motivi, come detto, il ricorso è stato rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese legali.
A cura di Andrea Goretti