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giurisprudenza

Sospensione per l’avvocato che non paga i canoni di locazione (C.N.F., Sent., 3 aprile 2024, n. 118)

Il Consiglio Nazionale Forense, con sentenza n. 118/2024, conferma la condanna inflitta dal C.D.D. di riferimento (sospensione 4 mesi dall’esercizio della professione forense) all’avvocato che omette di adempiere le proprie obbligazioni nei confronti dei terzi, a prescindere dalla natura privata o professionale dei debiti.

La fattispecie in sintesi: la C.D.D. di Brescia infliggeva ad un avvocato la sospensione dall’esercizio della professione forense di quattro mesi in quanto il medesimo, tratto a giudizio da parte della proprietaria dell’abitazione in cui il medesimo viveva con la madre e la sorella per canoni di locazione impagati e per abbandono di fascicoli di studio (quindi riservati) nella cantina del palazzo, veniva effettivamente riconosciuto inadempiente circa:

i) il pagamento dei canoni di locazione per oltre 10 anni (complessivamente, trattasi di cifra superiore a 50.000,00 euro) mai corrisposti nonché delle utenze, per le quali l’attuale proprietaria è stata raggiunta da protesti, atti di precetto e richieste di pignoramento;

ii) il dovere di custodia dei locali a lui locati, in quanto veniva accertato che vivesse in condizioni di estremo degrado, incuria e senza alcun tipo di sicurezza e conformità nei luoghi locati;

iii) il dovere di riservatezza, in quanto veniva accertato l’abbandono di fascicoli di studio (riportanti nomi di parti e numeri di R.G. sulla copertina) nella cantina del palazzo, a tutti accessibile.

Veniva quindi accertata la violazione degli artt. 9 e 63 -64 C.D.F. (violazione dei doveri di probità, decoro e dignità della professione) e 28 C.D.F. (violazione della riservatezza e del segreto professionale) ed inflitta la sanzione come sopra ricordata.

Il ricorrente al C.N.F. deduceva l’erroneità della decisione in quanto: a) non sarebbe stata fornita prova alcuna che i documenti lasciati nella cantina del palazzo fossero effettivamente riferibili / riguardanti all’attività professionale svolta: per cui non vi sarebbe responsabilità alcuna per il medesimo; b) non sarebbe stata fornita prova che l’immobile locato fosse in condizioni di estremo degrado ed incuria, né che gli impianti non fossero a norma: per cui non vi sarebbe responsabilità neanche in questo caso; c) infine, che il mancato pagamento dei canoni di locazioni si giustifica in quanto il ricorrente si era, a suo tempo, accordato col vecchio proprietario per non pagare i canoni ed il proprietario succeduto (poi deceduto, attuale proprietaria è ora l’erede che ha tratto davanti la C.D.D. il ricorrente) a causa di una grave malattia non aveva mai richiesto il pagamento di alcun tipo di canone.

All’esito di una istruttoria basata principalmente sull’assunzione di quanto già effettuato in sede disciplinare distrettuale, il C.N.F. riconosce corretta la sanzione inflitta.

L’esame delle risultanze istruttorie conferma tutto quanto già rilevato in sede distrettuale tra cui il totale abbandono dei fascicoli riferibili all’attività professionale, i quali venivano poi ritirati dalla madre del ricorrente che, rilasciando debita ricevuta di consegna, precisava come fossero fascicoli dello “studio legale ricorrente”, la totale incuria e l’estremo degrado dell’immobile locato, in forza di relazione del geometra nominato che evidenziava una situazione assolutamente invivibile ed insalubre (masserizi caduti in cucina, nessun allaccio al gas ma bombole di gas lasciate scoperte, servizi igienici impraticabili, muri pericolanti) ed infine l’assoluta mancanza di qualsiasi accordo con il vecchio proprietario circa il pagamento dei canoni di locazione, mai provato nè mai documentato in nessuna fase del procedimento.

Per questi motivi, il C.N.F. ha rilevato che commette l’illecito deontologico il professionista che non adempie alle proprie obbligazione verso i terzi (art 64 C.D.F.) a prescindere che si tratti di debito professionale o privato, in quanto l’onere deontologico di adempiere con regolarità a qualsiasi tipo di obbligazione ha quale scopo primario la tutela dell’affidamento dei terzi sulla capacità del professionista stesso al rispetto dei propri doveri nonché, in particolare, la tutela del decoro e dell’immagine dell’ordinamento forense, gravemente lesa nella fattispecie ora ricordata; nondimeno, conclude il C.N.F., l’illecito è ancor più grave laddove l’avvocato, a causa dell’inadempienza, sia destinatario di decreti ingiuntivi, atti di precetto e di pignoramento, in quanto l’immagine dell’avvocato, e della classe forense, è lesa agli occhi dei creditori ed anche agli altri operatori del diritto.

A cura di Andrea Goretti