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giurisprudenza

Sul potere del COA di valutazione della qualità della pratica forense ai fini della valutazione del profitto della pratica forense (TAR Milano, Lombardia Sez IV, 4 marzo 2010, n., 550)

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia ribadisce, con la sentenza in epigrafe, che il colloquio di fine pratica, sostenuto da un praticante avvocato, non costituisce una prova preliminare dell’esame stesso, bensì un mero strumento di controllo, legittimamente esercitato dal Consiglio dell’Ordine di appartenenza, al fine di verificare l’effettività del tirocinio.
I giudici amministrativi ritengono infatti che, così come disciplinato dall’articolo 10 del R.D. n. 37/1934 recante “Norme integrative e di attuazione del R.D.L. 27/11/1933 n. 1578 sull’ordinamento della professione di avvocato e di procuratore”, e dal combinato disposto degli articoli 1 e 4 del D.P.R. n. 101 del 10/04/1990, ‘l’effettività’ del periodo di pratica debba essere valutata non soltanto avendo riguardo al mero dato numerico di atti e pareri compiuti o udienze a cui ha assistito il praticante avvocato, bensì anche valutando la proficuità del tirocinio.
In questa pronuncia si ribadisce che il diritto del Consiglio dell’Ordine di vigilare sull’effettività della pratica forense fonda le radici nel potere proprio di questo organo di autogoverno di evitare casi di pratica apparente e garantire che questa sia svolta presso uno studio legale, proficuamente, con assiduità, diligenza, dignità, lealtà e riservatezza, requisiti essenziali nella formazione del professionista.