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giurisprudenza

Sull’efficacia della sentenza penale nel giudizio disciplinare (Cass., Sez. Un., 22 agosto 2007, n. 17827)

La recente pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che di seguito pubblichiamo riaffronta la delicata problematica dell’efficacia della sentenza penale nel giudizio disciplinare.
Fermo restando il principio dell'immutabilità del fatto così come accertato dal magistrato penale (almeno nelle fattispecie richiamate dal novellato art. 653 c.p.p. e cioè se viene accertato che “il fatto non sussiste”, che “il fatto non costituisce illecito penale” o “che l’imputato non lo ha commesso” ovvero, ai sensi del comma 1 bis, che “il fatto sussiste”, che “il fatto costituisce illecito penale” o “che l’imputato lo ha commesso”), rimane estremamente problematico stabilire fino a dove tale principio si estenda, in modo che non sia sopraffatto l’altro principio cardine, costituito dall’autonomia dei procedimenti giurisdizionali: l’organo disciplinare, quindi, deve poter valutare in autonomia il comportamento oggetto del procedimento penale, ma senza poter modificare l’accertamento sul fatto compiuto dal giudice penale.
Tralasciando i problemi legati alla efficacia dell’accertamento del fatto quando questo in effetti sia compiuto senza alcuna istruttoria (si pensi ad una sentenza di applicazione della pena su richiesta), aspetti peraltro non toccati in sentenza, si afferma la possibilità per il Consiglio dell’Ordine di valutare autonomamente i fatti accertati nel giudizio penale dovendo, però, qualora se ne discosti nelle conclusioni, ovvero qualora intenda sottoporre a procedimento per fatti diversi ma comunque correlati, connessi o consequenziali al medesimo fatto storico oggetto dell’azione penale, motivare adeguatamente la decisione ovvero contestare le singole fattispecie attraverso un’ “adeguata ricognizione dei medesimi e una valutazione della loro identità ad esercitare ed integrare il capo di incolpazione”.

A cura di Cosimo Papini

Allegato:
17827-2007