Il caso affrontato nella sentenza in commento prende le mosse dalla decisione del Consiglio distrettuale di disciplina competente che applica ad un professionista la sanzione della sospensione per mesi due dall’esercizio della professione in quanto, “in qualità di avvocato stabilito” aveva “adottato ed utilizzato in qualsiasi occasione il titolo italiano in forma abbreviata (“avv.” e “avv. S.”), titolo italiano non in suo possesso, così generando confusione con il titolo professionale dello Stato membro ospitante”.
Il professionista propone ricorso davanti al Consiglio nazionale forense, il quale dichiara l’atto inammissibile, osservando al riguardo che il professionista, che ha sottoscritto in proprio il ricorso, è privo dello ius postulandi, in quanto è iscritto presso la sezione speciale dell’albo degli avvocati stabiliti.
Il professionista propone quindi ricorso in Cassazione.
Quest’ultima, investita della questione, respinge il ricorso.
La Suprema Corte ricorda al riguardo che per difendersi personalmente nel procedimento disciplinare davanti al C.N.F., l’incolpato deve avere la qualità necessaria per esercitare l’ufficio di difensore con procura presso il giudice adito (art. 86 c.p.c.) e cioè deve essere iscritto nell’albo professionale degli avvocati.
La Corte di Cassazione prosegue richiamando l’art. 8 del D.Lgs. 96/2001 ai sensi del quale l’avvocato stabilito, vale a dire il cittadino di uno degli Stati membri dell’Unione europea che esercita stabilmente in Italia la professione di avvocato con il titolo professionale di origine e che è iscritto nella sezione speciale dell’albo degli avvocati, non ha nel nostro ordinamento un autonomo ius postulandi.
A tale riguardo il citato art. 8 precisa che l’avvocato stabilito può svolgere attività di rappresentanza, assistenza e difesa nei giudizi civili, penali, amministrativi e nei procedimenti disciplinari nei quali è necessaria la nomina di un difensore, solo se agisce “di intesa con un professionista abilitato ad esercitare la professione con il titolo di avvocato, il quale assicura i rapporti con l’autorità adita o procedente e nei confronti della medesima è responsabile dell’osservanza dei doveri imposti dalle norme vigenti ai difensori”.
Inoltre, continua il succitato art. 8, “L’intesa di cui al comma 1 deve risultare da scrittura privata autenticata o da dichiarazione resa da entrambi gli avvocati al giudice adito o all’autorità procedente, anteriormente alla costituzione della parte rappresentata ovvero al primo atto di difesa dell’assistito”.
L’avvocato stabilito non può quindi difendersi da solo.
A cura di Silvia Ammannati