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giurisprudenza

Sull’uso di frasi offensive nei confronti del giudice (Cass., Sez. III, 20 ottobre 2011, n. 21696

Il caso affrontato nella sentenza della Suprema Corte di Cassazione è quello di un giudice onorario che aveva citato in giudizio un avvocato, sostenendo di essere stato diffamato, nell’esercizio delle sue funzioni di magistrato, a causa di alcune affermazioni contenute in una memoria di replica redatta dal legale nell’ambito di un procedimento civile deciso da quello stesso giudice.
A causa del danno ingiusto che sarebbe stato procurato al giudice dalla condotta del legale, il magistrato aveva chiesto un risarcimento di £ 50.000.000; l’avvocato, dal canto suo, nel costituirsi in giudizio aveva spiegato che quel giudice aveva adottato un “provvedimento di favore per i colleghi”, un “trattamento privilegiato” che “non trova riscontro in un precedente … dello stesso magistrato” e che pertanto le frasi contenute negli scritti difensivi altro non erano se non espressioni del suo diritto di critica.
Il Tribunale adito accoglieva integralmente la domanda attrice.
Proponeva appello il legale chiedendo il rigetto della domanda e la condanna del giudice alla restituzione delle somme pagate.
Il giudice chiedeva il rigetto dell’appello e proponeva appello incidentale per ottenere la rivalutazione monetaria.
La Corte d’Appello respingeva l’appello proposto dal legale e l’appello incidentale proposto dal giudice.
Proponeva ricorso per cassazione il legale, provandole, senza successo, di tutte.
Tra le varie, il legale sosteneva che ai sensi dell’art. 83 c.p.c. gli atti compiuti dal difensore sono direttamente riferibili alla parte anche quando le offese provengano dal difensore e che per questo destinataria della domanda di risarcimento del danno ex art. 89 c.p.c. doveva essere solo la parte.
Nella sua difesa l’avvocato sosteneva anche che detti criteri (art. 89 c.p.c.) sarebbero operativi anche quando il soggetto leso sia non una parte, ma un terzo (nella specie il magistrato).
La terza sezione civile nel decidere il ricorso ha chiarito innanzitutto che “l’art. 89 c.p.c., nella parte in cui prevede il risarcimento del danno, è applicabile quando l’offensore e l’offeso siano parti in causa nel medesimo giudizio, mentre nella fattispecie in questione l’offeso è un terzo, ossia il magistrato che ha deciso la controversia.
L’art. 89 c.p.c. pertanto al caso di specie non può essere applicato: il giudice onorario che ha deciso la controversia non potrebbe condannare una parte al risarcimento in favore di se stesso: può solo promuovere un diverso procedimento civile (o penale) nei confronti dell’autore dell’illecito.
La Corte fa anche notare che nel caso in questione le frasi incriminate “non potevano essere riferite alla parte in quanto implicano considerazioni relative all’attività del giudice di cui la parte stessa, personalmente, non poteva avere conoscenza”.

A cura di Silvia Ammannati

Allegato:
21696-2011