Direttore Responsabile:

Susanna Della Felice

Coordinatore di Redazione:

Lapo Mariani

giurisprudenza

Vietato all’avvocato chiedere un compenso manifestamente sproporzionato ai parametri applicabili, anche se c’è il consenso del cliente e a prescindere dalla presenza o meno di un patto di quota di lite (C.N.F., Sent., 9 febbraio 2023, n. 1)

Con la sentenza in commento, per quel che interessa in questa sede, il CNF si pronuncia sul ricorso proposto da un avvocato contro la decisione del Consiglio Distrettuale di Disciplina di Venezia, il quale, pur dichiarando d’ufficio la prescrizione dell’illecito disciplinare, aveva giudicato sussistente la violazione da parte sua dell’art. 29 comma 4 Codice Deontologico Forense (che com’è noto vieta agli avvocati di domandare compensi manifestamente sproporzionati all’attività svolta o da svolgere). 

La vicenda origina da un incarico professionale che l’avvocato aveva ricevuto dai genitori di un minore, finalizzato all’ ottenimento del risarcimento dei danni da responsabilità medica per le gravi lesioni cagionate al minore in occasione della nascita. 

In sede di appello veniva riconosciuto al minore un risarcimento di oltre 600.000 € e ai genitori di oltre 200.000 €, e dunque, in base a un precedente accordo sul compenso dell’avvocato concluso in pendenza di giudizio, questi concordava con i genitori il pagamento di un onorario pari al 20% (oltre accessori) delle somme liquidate a titolo risarcitorio a loro ed al figlio, con aggiunta delle spese legali di soccombenza. 

Senonché, il giudice tutelare rigettava l’istanza, formulata dal padre quale amministratore di sostegno del figlio nel frattempo divenuto maggiorenne, di autorizzazione del pagamento della somma prevista nell’accordo con riferimento alla parte di pertinenza del figlio, e in sede di reclamo il Tribunale, oltre a confermare la decisione di primo grado, disponeva la trasmissione degli atti all’Ordine degli avvocati di Venezia, ravvisando profili deontologicamente rilevanti nella condotta dell’avvocato. 

Come premesso, il CDD dichiarava la prescrizione con riferimento all’incolpazione in questione ma riteneva insussistenti i presupposti per una pronunzia assolutoria, rilevando che, pur essendo al tempo della stipula (ossia nel 2010) ammissibile il patto di quota lite e dunque valido l’accordo stipulato, il compenso che ne risultava non era proporzionato, in quanto di gran lunga superiore al doppio dei massimi previsti nei parametri di riferimento (e peraltro incidente per un quinto sulla somma risarcitoria percepita dall’assistito).  

Impugnando detta decisione davanti al CNF, l’avvocato si doleva che il CDD non lo avesse assolto da ogni responsabilità, sostenendo che non vi fosse violazione del principio di proporzionalità (implicito nella percentualità del compenso), in quanto in quel tipo di contratto, che rivestiva carattere aleatorio, la proporzionalità non doveva essere valutata con riferimento al lavoro svolto, ma al risultato conseguito (da qui l’impossibilità di considerare nei contratti come quello in predicato la contestata sproporzione parametrandola all’ entità del corrispettivo). 

Tuttavia, il CNF rigetta sul punto il ricorso, ribadendo, in conformità ai suoi precedenti giurisprudenziali, che quanto rileva ai fini disciplinari è la valutazione in merito alla proporzionalità del compenso, a prescindere dalla validità del patto di quota lite e pure dal consenso del cliente; nonché rilevando che detta valutazione nel caso di specie era stata svolta dal CDD con argomentazioni logiche e giuridiche condivisibili. 

A cura di Stefano Valerio Miranda