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giurisprudenza

Viola il dovere di verità e va sospeso l’avvocato che dichiara in giudizio che i propri assistiti sono stati assolti, quando invece sono stati prosciolti per motivi processuali (Cass. Sez. Un., 30 dicembre 2021, n. 41990)

Le S.U. si pronunciano sul ricorso di un avvocato avverso la decisione del CNF che gli aveva irrogato la sanzione della sospensione per quattro mesi per aver violato il dovere di verità di cui all’art. 50 del cod. deont. forense.

Per conto di due suoi assistiti, infatti, l’avvocato aveva introdotto una causa risarcitoria nei confronti di una società, in quanto asseritamente responsabile del turbamento psicologico derivato loro dall’essere stati sottoposti a un procedimento penale per il reato di violenza privata, originato da una denuncia presentata dalla medesima società, ma conclusosi con l’assoluzione di entrambi.

Senonché, il procedimento penale in questione, in realtà, non era terminato con assoluzione, bensì con il proscioglimento degli imputati per difetto di querela, dopo che il capo di imputazione era stato derubricato in minacce.

Il ricorrente impugna la sentenza del CNF per violazione degli artt. 50 (dovere di verità) e 4 (volontarietà dell’azione) del c.d.f., sostenendo di non essere stato consapevole della falsità della dichiarazione resa, ma di aver erroneamente ritenuto equivalenti le espressioni di proscioglimento e assoluzione; tale errore, peraltro, non sarebbe stato neppure idoneo a trarre in errore il giudice, come dimostrato dal fatto che la reale situazione è stata poi ben rappresentata nella sentenza.

La S.C., tuttavia, rigetta il ricorso, rilevando come la qualifica professionale dell’incolpato non consenta di supportare la tesi dell’errore nell’uso dell’espressione assoluzione in luogo di proscioglimento; inoltre, che l’avvocato fosse ben consapevole della relativa differenza si evince anche dalla sua adesione nel procedimento penale alla derubricazione del reato.

La circostanza, infine, che la situazione reale sia stata ben rappresentata dal giudice nella sentenza civile che ha rigettato la domanda risarcitoria, non sta a significare di per sé irrilevanza della condotta, poiché la sentenza è stata resa all’esito del contraddittorio e alla rappresentazione della realtà dei fatti ha contribuito l’attività della controparte.

Risulta così confermato anche dalla S.C. l’orientamento ormai consolidato del CNF, secondo cui, quando si tratti dell’esistenza o inesistenza di fatti oggettivi, che siano presupposto specifico per un provvedimento del magistrato e di cui l’avvocato abbia diretta conoscenza, le dichiarazioni in giudizio del difensore devono essere vere e comunque tali da non indurre il giudice in errore (ex multis CNF n. 61/2021 e 224/2018).

A cura di Stefano Valerio Miranda