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Lapo Mariani

parere

Avvocato: producibilità in giudizio di corrispondenza scambiata tra avvocati.

Viene chiesto a questo Consiglio se sia deontologicamente consentito produrre in giudizio un fax inviato alla controparte contenente l’accettazione della proposta avanzata dal Giudice in udienza ex art. 185 bis c.p.c. o, comunque, se sia corretto riferirne il contenuto, facendo accenno al fax.
La richiedente il parere aggiunge inoltre che il fax inviato alla controparte non era qualificato come “riservata personale, non producibile in giudizio”.
1. Occorre preliminarmente precisare che, in mancanza di diversa e più precisa indicazione, si presume che la richiedente il parere, utilizzando il termine “controparte”, si riferisca all’avvocato difensore della parte sostanziale e non a quest’ultima.
Ciò posto è chiaro che il quesito attiene al tema della producibilità in giudizio della corrispondenza scambiata fra colleghi.
2. Al riguardo il codice deontologico forense (“c.d.f.”) prevede all’art. 48 (che ripropone con poche modifiche la formulazione dell’art. 28 del previgente c.d.f.), che «l’avvocato non deve produrre, riportare in atti processuali o riferire in giudizio la corrispondenza intercorsa esclusivamente tra colleghi qualificata come riservata, nonché quella contenente proposte transattive e relative risposte».
La norma vieta la produzione in giudizio di tutte le comunicazioni fra avvocati in cui:
a) la corrispondenza sia qualificata come riservata;
b) siano contenute “proposte transattive e relative risposte”.
Per giurisprudenza costante del C.N.F., «il divieto di produrre in giudizio la corrispondenza tra i professionisti contenente proposte transattive assume la valenza di un principio invalicabile di affidabilità e lealtà nei rapporti interprofessionali, indipendentemente dagli effetti processuali della produzione vietata, in quanto la norma mira a tutelare la riservatezza del mittente e la credibilità del destinatario, nel senso che il primo, quando scrive ad un collega di un proposito transattivo, non deve essere condizionato dal timore che il contenuto del documento possa essere valutato in giudizio contro le ragioni del suo cliente, mentre il secondo deve essere portatore di un indispensabile bagaglio di credibilità e lealtà che rappresenta la base del patrimonio di ogni avvocato» (fra le molte, si vedano C.N.F., sent. n. 215/2016, C.N.F., sent. n. 15/2016, C.N.F., sent. n. 19/2015).
Nel caso in esame, secondo quanto precisato dalla richiedente il parere, è escluso il ricorrere della fattispecie sub art. 48 lett. a.
Rimane da capire se l’accettazione della proposta formulata dal giudice ex art. 185-bis c.p.c., inoltrata via fax al collega, sia qualificabile come corrispondenza contenente “proposte transattive e relative risposte”, ipotesi che rientrerebbe nella fattispecie sub art. 48 lett. b.
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3. La comunicazione fax del caso posto all’attenzione di questo Consiglio ha come peculiarità quella di:
– provenire dallo stesso avvocato che la vorrebbe produrre;
– configurarsi quale accettazione di una proposta atipica perché proveniente, anziché dall’altra parte, dal giudice.
4. Quanto all’autore della comunicazione, è stato già stabilito in passato che è indifferente che si tratti di corrispondenza inviata o ricevuta, poiché, mutatis mutandis, «il precetto contenuto nell’art. 28 [ora art. 48 c.d.f.] non distingue tra corrispondenza inviata o ricevuta essendo il divieto di produzione generale e non colpito da alcuna eccezione» (vedi C.N.F., sent. n. 194/2017).
Anche se la corrispondenza proviene dallo stesso avvocato che vorrebbe depositarla in giudizio, pertanto, essa non può essere prodotta.
5. L’art. 185-bis c.p.c., prevede che «il giudice, alla prima udienza, ovvero sino a quando è esaurita l’istruzione, formula alle parti ove possibile, avuto riguardo alla natura del giudizio, al valore della controversia e all’esistenza di questioni di facile e pronta soluzione di diritto, una proposta transattiva o conciliativa. La proposta di conciliazione non può costituire motivo di ricusazione o astensione del giudice».
Occorre quindi accertare se la comunicazione dell’accettazione della proposta del giudice all’avvocato della controparte soggiaccia al regime della riservatezza previsto dall’art. 48 c.d.f.
Appare evidente che, sebbene non sia stata espressamente qualificata come “riservata”, tale comunicazione può essere vista sia come “risposta” ad una proposta conciliativa (sebbene la proposta non sia venuta dalla controparte bensì dal giudice), sia come una comunicazione contenente un «un proposito transattivo» (1) (non producibile secondo le già richiamate C.N.F., sent. n. 215/2016, C.N.F., sent. n. 15/2016, C.N.F., sent. n. 19/2015).
In ogni caso tale comunicazione rientra fra la corrispondenza fra colleghi che non può essere prodotta in giudizio in base al primo comma dell’art. 48 c.d.f. poiché «la riservatezza della corrispondenza tra Colleghi, che tutela in definitiva la libertà del Difensore nella conduzione della lite, costituisce un canone essenziale che prevale, peraltro, salve le eccezioni previste espressamente, persino sul dovere di difesa» (C.N.F., sent. n. 194/2017).
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6. Ad abundantiam si aggiunge che la produzione in udienza del fax inviato al legale di controparte non appare necessaria. Ciò nonostante che l’art. 91 c.p.c., primo comma, preveda che il giudice «se accoglie la domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa, condanna la parte che ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta al pagamento delle spese del processo maturate dopo la formulazione della proposta, salvo quanto disposto dal secondo comma dell’articolo 92».
Per accedere al trattamento di favore sulle spese processuali previsto dall’art. 91 c.p.c., infatti, non è necessaria una comunicazione all’altra parte (con conseguente prova in giudizio della comunicazione), ben potendo l’accettazione avvenire direttamente in udienza a opera del legale, o con deposito della dichiarazione di accettazione negli atti di causa. Pare del resto più corretto che l’accettazione di una proposta ex art. 185-bis c.p.c. venga indirizzata al soggetto che l’ha formulata, ovvero il giudice.
Si segnala peraltro che, in una recente sentenza, le Sezioni Unite della Cassazione hanno ritenuto che l’art. 91 c.p.c. possa riguardare soltanto le proposte dalle parti formulate nel corso del giudizio (essendo quella del giudice una mera “ipotesi” transattiva (2)). Anche in questo caso, tuttavia, «non v’è nessuna necessità di divulgare la corrispondenza intercorsa tra i difensori, perché la proposta conciliativa cui fa riferimento la norma in esame [cioè l’art. 91 c.p.c.] deve essere formulata in giudizio dalla parte che ne è autrice; dopo di che l’eventuale rifiuto della controparte sarà insito nella mancanza di accettazione, che lo evidenzia di per sé, senza alcun bisogno – si ripete – di divulgare la corrispondenza riservata tra i difensori» (Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 12 settembre 2017, n. 21109).
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7. Nessun dubbio infine sul fatto che sia indifferente produrre la comunicazione o solamente riferirsi ad essa: l’art. 48 c.d.f. è esplicito nel sanzionare una pluralità di condotte, essendo vietato non solo «produrre», ma anche «riportare in atti processuali o riferire in giudizio» la corrispondenza (sul punto vedi anche C.N.F., sent. n. 135/13, resa in vigenza del precedente codice).
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8. Conclusioni
Per i motivi sopra esposti, si deve ritenere vietato dall’art. 48 c.d.f. depositare o riferire in udienza il contenuto di una comunicazione inoltrata al collega difensore della controparte con il quale si manifesti la volontà di accettare la proposta ex art. 185-bis c.p.c.
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Ciò detto circa il quesito, corre infine l’obbligo di precisare che:
– con la nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense “il potere disciplinare appartiene ai consigli distrettuali di disciplina forense” e dunque non rientra più tra i compiti e le prerogative del Consiglio dell’Ordine;
– ne consegue che i pareri in materia deontologica che gli iscritti richiedono al Consiglio dell’Ordine vengono da questo rilasciati in termini generali e non assumono né possono assumere, in eventuali procedimenti disciplinari, alcuna funzione orientativa né tantomeno vincolante del giudizio del Consiglio Distrettuale di Disciplina né rilevare quali esimente dell’iscritto sotto il profilo soggettivo;
– pertanto, è possibile che il Consiglio Distrettuale di Disciplina, nella sua autonoma valutazione di comportamenti concretamente tenuti, possa pervenire a conclusioni diverse da quelle fatte proprie dal Consiglio.

(1) L’irritualità della risposta, inoltrata alla controparte anziché al giudice che la proposta aveva formulato, potrebbe inoltre indurre a considerare la comunicazione, almeno in senso lato, una proposta.
(2) “La «proposta conciliativa» cui fa riferimento l’art. 91, primo comma, cod. proc. civ. è evidentemente quella formulata da una delle parti in causa, le uniche titolari di un potere di proposta negoziale in senso proprio, su cui possa formarsi l’incontro delle volontà con l’eventuale adesione della controparte; il giudice è titolare, semmai, di un potere di sollecitazione delle parti a conciliarsi, formulando al limite (non già “proposte”, bensì mere) ipotesi transattive o conciliative, che le parti possono liberamente fare proprie o meno: solo nel caso in cui una di esse faccia propria l’ipotesi suggerita dal giudice, questa diverrà una proposta, suscettibile di dar luogo all’accordo conciliativo in presenza dell’accettazione di controparte. Ed è appunto il meccanismo basato sulla proposta conciliativa di una delle parti, che l’art. 91, primo comma, cod. proc.civ. ha inteso promuovere mediante la previsione di una ricaduta dell’ingiustificato rifiuto di controparte sull’addebito delle spese processuali” (così in motivazione, Cass. S.U. 12 settembre 2017, n. 21109).