Direttore Responsabile:

Susanna Della Felice

Coordinatore di Redazione:

Lapo Mariani

parere

Avvocato: circa il diritto ad ottenere la restituzione della documentazione in possesso del legale da parte dei chiamati all’eredità del cliente defunto

1.   Viene sottoposto a questo Consiglio il seguente quesito

Un avvocato, a seguito della morte di un cliente che stava assistendo, si pone il problema se sia  tenuto a fornire informazioni e documenti, in base all’art. 33 Codice Deontologico Forense, anche ai chiamati all’eredità.

2.   Risposta al quesito

Il quesito attiene al dovere di informazione e di restituzione di documenti in possesso dell’avvocato del cliente defunto. Per rispondere al quesito occorre richiamare gli artt. 28 e 33 del codice deontologico forense (“c.d.f.”).

L’art. 28 prevede che:

“1. È dovere, oltre che diritto, primario e fondamentale dell’avvocato mantenere il segreto e il massimo riserbo sull’attività prestata e su tutte le informazioni che gli siano fornite dal cliente e dalla parte assistita, nonché su quelle delle quali sia venuto a conoscenza in dipendenza del mandato.

2. L’obbligo del segreto va osservato anche quando il mandato sia stato adempiuto, comunque concluso, rinunciato o non accettato.

3. L’avvocato deve adoperarsi affinché il rispetto del segreto professionale e del massimo riserbo sia osservato anche da dipendenti, praticanti, consulenti e collaboratori, anche occasionali, in relazione a fatti e circostanze apprese nella loro qualità o per effetto dell’attività svolta.

4. È consentito all’avvocato derogare ai doveri di cui sopra qualora la divulgazione di quanto appreso sia necessaria:

a) per lo svolgimento dell’attività di difesa;

b) per impedire la commissione di un reato di particolare gravità;

c) per allegare circostanze di fatto in una controversia tra avvocato e cliente o parte assistita;

d) nell’ambito di una procedura disciplinare.

In ogni caso la divulgazione dovrà essere limitata a quanto strettamente necessario per il fine tutelato.

5. La violazione dei doveri di cui ai commi precedenti comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della censura e, nei casi in cui la violazione attenga al segreto professionale, l’applicazione della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da uno a tre anni”.

L’art. 33 prevede che:

“1. L’avvocato, se richiesto, deve restituire senza ritardo gli atti ed i documenti ricevuti dal cliente e dalla parte assistita per l’espletamento dell’incarico e consegnare loro copia di tutti gli atti e documenti, anche provenienti da terzi, concernenti l’oggetto del mandato e l’esecuzione dello stesso sia in sede stragiudiziale che giudiziale, fermo restando il disposto di cui all’art. 48, terzo comma, del presente codice.

2. L’avvocato non deve subordinare la restituzione della documentazione al pagamento del proprio compenso.

3. L’avvocato può estrarre e conservare copia di tale documentazione, anche senza il consenso del cliente e della parte assistita.

4. La violazione del dovere di cui al comma 1 comporta l’applicazione della sanzione disciplinare dell’avvertimento. La violazione del divieto di cui al comma 2 comporta l’applicazione della censura.”

Vengono inoltre in rilievo gli artt. 459 e 460 c.c. i quali prevedono l’accettazione dell’eredità da parte del chiamato e disciplinano i poteri del chiamato all’eredità.

L’accettazione di eredità è un negozio unilaterale e come tale richiede che il chiamato abbia la possibilità di esprimersi, con l’accettazione, l’accettazione con beneficio di inventario e la rinuncia, in maniera consapevole e informata in modo da porre in essere un negozio che sia a tutti gli effetti valido ed efficace.

Così come è possibile entrare in possesso di tutti i beni del defunto al momento dell’apertura della successione e porre in essere atti conservativi, si deve ritenere che prima di decidere se subentrare o meno nella posizione giuridica del de cuius e assumere tutti i diritti e gli obblighi alla stessa inerenti, i chiamati all’eredità abbiano diritto di conoscere l’intero contenuto del patrimonio nel quale sono chiamati a succedere.

Si deve pertanto ritenere che i divieti di cui agli artt. 28 e 33 del c.d.f. non si applichino ai chiamati all’eredità ai fini della decisione in merito all’accettazione o meno dell’assunzione della qualità di eredi.

Tale diritto riguarda anche la corrispondenza scambiata con il cliente ma, evidentemente, stante il richiamo all’art. 48, comma III, non la corrispondenza scambiata con il collega di controparte in caso di controversia di cui è stato parte il cliente defunto.

Ciò detto circa il quesito, ci corre infine l’obbligo di precisare che:

– con la nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense “il potere disciplinare appartiene ai consigli distrettuali di disciplina forense” e dunque non rientra più tra i compiti e le prerogative del Consiglio dell’Ordine;

– ne consegue che i pareri in materia deontologica che gli iscritti richiedono al Consiglio dell’Ordine vengono da questo rilasciati in termini generali e non assumono né possono assumere, in eventuali procedimenti disciplinari, alcuna funzione orientativa né tantomeno vincolante del giudizio del Consiglio Distrettuale di Disciplina né rilevare quali esimente dell’iscritto sotto il profilo soggettivo;

– pertanto, è possibile che il Consiglio Distrettuale di Disciplina, nella sua autonoma valutazione di comportamenti concretamente tenuti, possa pervenire a conclusioni diverse da quelle fatte proprie dal Consiglio.