Direttore Responsabile:

Susanna Della Felice

Coordinatore di Redazione:

Lapo Mariani

parere

Avvocato: circa il legale che assiste l’amministratore di una società fallita in un’azione di responsabilità promossa dal curatore

1. Quesito. Viene proposto a questo Consiglio dell’Ordine il seguente quesito.

Un avvocato ha assistito il signor X, in qualità di legale rappresentante della società Y in vari procedimenti civili fra i quali un procedimento di opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento; su incarico del signor X ha proposto reclamo avverso la sentenza di dichiarazione di fallimento della società Y; confermata la sentenza di primo grado da parte della Corte di Appello, l’avvocato è stato ammesso al passivo del fallimento con il privilegio derivante dall’aver svolto le prestazioni professionali nel biennio precedente alla dichiarazione di fallimento ex art. 2751 bis n. 2 c.c.; successivamente il Curatore del fallimento ha inviato una richiesta di risarcimento del danno per responsabilità nei confronti del signor X, quale amministratore della società fallita; il signor X si è rivolto all’avvocato per essere assistito avverso le pretese della Curatela Fallimentare.

Date queste premesse l’avvocato chiede se sia ravvisabile una situazione di conflitto di interessi o altro nei confronti della Curatela e/o della società fallita.

Chiede inoltre se vi siano impedimenti e/o conflitto di interessi nell’assunzione dell’incarico per la difesa del signor X per resistere alla richiesta di risarcimento per responsabilità dell’amministratore nei confronti della Curatela e se, eventualmente, l’avvocato debba rinunciare alla posizione creditoria verso il fallimento.

2. Norme rilevanti e giurisprudenza.

Sono norme rilevanti per rispondere al quesito in esame gli artt. 24 e 68 del codice di  deontologia forense.

        Tali norme così recitano:

Art. 24: “1. L’avvocato deve astenersi dal prestare attività professionale quando questa possa determinare un conflitto con gli interessi della parte assistita e del cliente o interferire con lo svolgimento di altro incarico anche non professionale.

2. L’avvocato nell’esercizio dell’attività professionale deve conservare la propria indipendenza e difendere la propria libertà da pressioni o condizionamenti di ogni genere, anche correlati a interessi riguardanti la propria sfera personale.

3. Il conflitto di interessi sussiste anche nel caso in cui il nuovo mandato determini la violazione del segreto sulle informazioni fornite da altra parte assistita o cliente, la conoscenza degli affari di una parte possa favorire ingiustamente un’altra parte assistita o cliente, l’adempimento di un precedente mandato limiti l’indipendenza dell’avvocato nello svolgimento del nuovo incarico.

4. L’avvocato deve comunicare alla parte assistita e al cliente l’esistenza di circostanze impeditive per la prestazione dell’attività richiesta.

5. Il dovere di astensione sussiste anche se le parti aventi interessi confliggenti si rivolgano ad avvocati che siano partecipi di una stessa società di avvocati o associazione professionale o che esercitino negli stessi locali e collaborino professionalmente in maniera non occasionale.

6. La violazione dei doveri di cui ai commi 1, 3 e 5 comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da uno a tre anni. La violazione dei doveri di cui ai commi 2 e 4 comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della censura.”

Art. 68: “1. L’avvocato può assumere un incarico professionale contro una parte già assistita solo quando sia trascorso almeno un biennio dalla cessazione del rapporto professionale.

2. L’avvocato non deve assumere un incarico professionale contro una parte già assistita quando l’oggetto del nuovo incarico non sia estraneo a quello espletato in precedenza.

3. In ogni caso, è fatto divieto all’avvocato di utilizzare notizie acquisite in ragione del rapporto già esaurito.

(…)

6. La violazione dei divieti di cui al comma 1 e 4 comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da due a sei mesi. La violazione dei doveri e divieti di cui ai commi 2, 3 e 5 comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da uno a tre anni.”

La terzietà del curatore rispetto al fallito nella fase di reclamo contro la sentenza di fallimento e di accertamento del passivo è stata più volte ribadita dalla giurisprudenza della Suprema Corte la quale, pronunciando in merito all’opponibilità al curatore delle scritture private prive di sottoscrizione autenticata, nonché dei libri e le altre scritture contabili delle imprese soggette a registrazione, ha stabilito che “Il curatore certamente non è un imprenditore e dunque, una volta escluso che la sua posizione sia quella successoria in un rapporto già facente capo al fallito, essendo viceversa a lui attribuibile esclusivamente la funzione di semplice gestore del patrimonio di quest’ultimo, ne deriva automaticamente l’inapplicabilità nei suoi confronti della disciplina probatoria di cui si lamenta la mancata attuazione”, ovvero, nel caso di specie, l’art. 2709 c.c. Nello stesso modo e per le stesse ragioni, la Suprema Corte ha invece stabilito che è applicabile nei confronti del curatore, in quanto terzo rispetto al fallito, la disciplina dell’art. 2704 c.c. in merito alla prova della data certa nella scrittura privata con sottoscrizione non autenticata (così per tutte Cass. SS. UU. 20 febbraio 2013, n.4213; nello stesso senso, fra le molte, da ultimo anche Cass. ord., 6 novembre 2020 n. 24950; Cass. ord. 4 febbraio 2020, n. 2431; Cass. ord. 11 aprile 2019, n. 10215; Cass. ord. 18 gennaio 2019, n. 1389; Cass. 13 ottobre 2017, n. 24168).

3. Considerazioni del Consiglio.

A conferma di quanto detto sopra, si ricorda che già in un proprio precedente parere pubblicato in data 27 dicembre 2018, relativamente a una fattispecie in cui l’avvocato che aveva in precedenza assistito la società chiedeva se vi era incompatibilità con la difesa dell’amministratore e del socio in un’azione promossa dal curatore per far valere la responsabilità degli stessi, questo consiglio si è già espresso nel senso di ritenere che “dalle suddette disposizioni si deduce che nel caso sottoposto non sussiste né conflitto di interessi, poiché l’attività che il professionista deve svolgere è del tutto avulsa dalla liquidazione dell’attivo fallimentare, né la violazione dell’art.68 cdf, poiché l’amministratore e il socio sono persone diverse dalla srl fallita ed il curatore non è il continuatore della stessa, ma il suo liquidatore nominato nell’interesse dei creditori e in tale veste promotore  dell’azione sociale di responsabilità verso gli ex amministratori”.

L’avvocato che assista l’amministratore di una società fallita in un’azione di responsabilità promossa dal curatore non viola quindi le norme del codice di deontologia forense anche qualora abbia assistito in precedenza la società poi fallita nel giudizio di opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento.

Più complessa è la valutazione del caso in cui l’avvocato che voglia assistere l’amministratore della società fallita nell’azione di responsabilità promossa nei suoi confronti dal curatore sia anche insinuato al passivo, con privilegio, per il recupero dei compensi professionali relativi all’attività in precedenza svolta.

Nella misura in cui il soddisfacimento del credito dell’avvocato dipenda dal recupero di attivo da parte della procedura attraverso l’esercizio dell’azione di responsabilità, si deve ritenere che sussista un potenziale conflitto di interessi fra l’avvocato e il suo cliente che, se condannato, dovrebbe versare al fallimento le somme con cui poi il curatore provvederebbe al soddisfacimento anche del credito dell’avvocato. In questo caso l’avvocato insinuato al passivo del fallimento che assista l’amministratore della società nel giudizio promosso dal curatore per far valere la responsabilità dell’amministratore stesso, violerebbe l’art. 24 c.d.f.

Diversa deve essere la conclusione per la fattispecie in cui l’attivo in possesso del curatore prima dell’esercizio dell’azione di responsabilità sia già sufficiente a pagare i creditori privilegiati: in questo caso il soddisfacimento del credito privilegiato dell’avvocato non dipende dall’esito dell’azione di responsabilità promossa nei confronti del suo cliente e non sussiste quindi un conflitto di interessi ai sensi dell’art. 24 c.d.f. Tutto ciò rimane ovviamente vero fino a che l’eventuale intervento di insinuazioni tardive munite di titolo di soddisfacimento di grado superiore non sia in grado di causare l’insufficienza dell’attivo già presente nella massa a soddisfare il credito privilegiato dell’avvocato.

Allo stesso modo il conflitto di interessi non sussiste qualora l’avvocato non sia (o non sia più) insinuato al passivo del fallimento e il suo soddisfacimento non dipenda dall’esito dell’azione di responsabilità promossa nei confronti del suo cliente.

Ciò detto circa i quesiti, ci corre infine l’obbligo di precisare che:

– fatti salvi i compiti e poteri del Consiglio dell’Ordine, tramite apposita Commissione, di verifica della compatibilità dell’iscrizione caso per caso, con la nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense “il potere disciplinare appartiene ai consigli distrettuali di disciplina forense” e dunque non rientra più tra i compiti e le prerogative del Consiglio dell’Ordine;

– ne consegue che i pareri in materia deontologica che gli iscritti richiedono al Consiglio dell’Ordine vengono da questo rilasciati in termini generali e non assumono né possono assumere, in eventuali procedimenti disciplinari, alcuna funzione orientativa né tantomeno vincolante del giudizio del Consiglio Distrettuale di Disciplina né rilevare quali esimente dell’iscritto sotto il profilo soggettivo;

– pertanto, è possibile che il Consiglio Distrettuale di Disciplina, nella sua autonoma valutazione di comportamenti concretamente tenuti, possa pervenire a conclusioni diverse da quelle fatte proprie dal Consiglio.