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Susanna Della Felice

Coordinatore di Redazione:

Lapo Mariani

parere

Avvocato: circa la compatibilità dell’attività di traduzione di testi legali inerenti la pratica della professione svolta in proprio e in occasione dello svolgimento dell’attività di avvocato

Viene sottoposto a questo Consiglio il seguente quesito.

1.   Quesito.

Un avvocato, che ha conseguito un «Master in Traduzione giuridica» per le lingue inglese e francese presso una Università italiana, vorrebbe svolgere attività di traduzione di documenti a carattere giuridico redatti in lingua straniera.

Precisa che sul piano fiscale applicherebbe la stessa fatturazione che adotta quale avvocato.

2. Norme rilevanti e giurisprudenza.

        Vengono in rilievo l’art. 6 “Dovere di evitare incompatibilità” del Codice deontologico forense (c.d.f.), l’art. 18 “Incompatibilità” della L. 31.12.12 n. 247 (Ordinamento forense)

Stabilisce l’art 6 del c.d.f. che:

“1. L’avvocato deve evitare attività incompatibili con la permanenza dell’iscrizione all’albo.

2. L’avvocato non deve svolgere attività comunque incompatibili con i doveri di indipendenza, dignità e decoro della professione forense”.

Stabilisce l’art. 18 della L. 31.12.12 n. 247 che:

1. La professione di avvocato è incompatibile:

a) con qualsiasi altra attività di lavoro autonomo svolta continuativamente o professionalmente, escluse quelle di carattere scientifico, letterario, artistico e culturale, e con l’esercizio dell’attività di notaio. È consentita l’iscrizione nell’albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, nell’elenco dei pubblicisti e nel registro dei revisori contabili o nell’albo dei consulenti del lavoro;

(…)”.

Già nel 2013, con riferimento all’esercizio dell’attività di consulente tecnico esperto in traduzioni di testi giuridici, il consiglio dell’ordine degli avvocati di Firenze si era espresso nel modo seguente: “(…) Il Consiglio rileva che l’attività di consulente tecnico esperto in traduzioni legali non rientri tra le ipotesi di incompatibilità previste dall’art.18 della nuova legge professionale forense, non potendo, in particolare, configurarsi quale attività di lavoro autonomo svolta continuativamente, essendo legata ad incarichi conferiti in modo occasionale e non continuativo, né professionalmente, in quanto l’attività di esperto in traduzioni legali è resa sul presupposto dello svolgimento della professione forense nei luoghi indicati, la quale costituisce per l’interessato l’attività di riferimento”.

Sebbene nel caso in esame oggi, l’attività di traduzione non appaia direttamente collegata allo svolgimento di un’attività di consulenza tecnica in favore del Tribunale, si ritiene che l’attività di traduzione di testi legali legati alla pratica della professione (come testi di contratti e atti giudiziali), svolta in proprio e in occasione dello svolgimento dell’attività di avvocato, rientri all’interno delle attività facenti parte dell’insieme di competenze professionali attribuibili direttamente alla professione di avvocato, purché rimanga attività svolta con carattere di occasionalità e non divenga attività prevalente e svolta in maniera continuativa.

        Ciò detto circa i quesiti, ci corre infine l’obbligo di precisare che:

– fatti salvi i compiti e poteri del Consiglio dell’Ordine, tramite apposita Commissione, di verifica della compatibilità dell’iscrizione caso per caso, con la nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense “il potere disciplinare appartiene ai consigli distrettuali di disciplina forense” e dunque non rientra più tra i compiti e le prerogative del Consiglio dell’Ordine;

– ne consegue che i pareri in materia deontologica che gli iscritti richiedono al Consiglio dell’Ordine vengono da questo rilasciati in termini generali e non assumono né possono assumere, in eventuali procedimenti disciplinari, alcuna funzione orientativa né tantomeno vincolante del giudizio del Consiglio Distrettuale di Disciplina né rilevare quali esimente dell’iscritto sotto il profilo soggettivo;

– pertanto, è possibile che il Consiglio Distrettuale di Disciplina, nella sua autonoma valutazione di comportamenti concretamente tenuti, possa pervenire a conclusioni diverse da quelle fatte proprie dal Consiglio.