1. Quesito.
E’ stato formulato il seguente quesito in merito alla facoltà per l’avvocato : “di presiedere – pertanto con rappresentanza legale – un Comitato di genitori di quartiere, apolitico e senza scopo di lucro, volto a valorizzare gli spazi pubblici per minori, anziani e soggetti fragili, in collaborazione con Consiglio di Quartiere, Assessorati, Scuole ed altri Enti, nonché circa l’eventualità di fissare la sede legale del suddetto Comitato presso il proprio studio legale.
In sintesi: lo scrivente, avvocato [ ….. ], può – ed a quali condizioni – ricoprire la carica di presidente di un Comitato di genitori, nonché può – ed a quali condizioni – permettere che la sede legale del Comitato sia presso il proprio studio legale”.
2. Norme rilevanti.
Sono norme rilevanti ai fini della risposta al quesito l’art. 6 “Dovere di evitare incompatibilità” del Codice deontologico forense (“C.d.F.”) e l’art. 18 “Incompatibilità” della L. 31.12.12 n. 247 (Ordinamento forense), nonché l’art. 37 c.d.f.
Stabilisce l’art 6 del c.d.f. che:
“1. L’avvocato deve evitare attività incompatibili con la permanenza dell’iscrizione all’albo.
2. L’avvocato non deve svolgere attività comunque incompatibili con i doveri di indipendenza, dignità e decoro della professione forense”.
Stabilisce l’art. 18 della L. 31.12.12 n. 247 che:
1. La professione di avvocato è incompatibile:
a) con qualsiasi altra attività di lavoro autonomo svolta continuativamente o professionalmente, escluse quelle di carattere scientifico, letterario, artistico e culturale, e con l’esercizio dell’attività di notaio. È consentita l’iscrizione nell’albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, nell’elenco dei pubblicisti e nel registro dei revisori contabili o nell’albo dei consulenti del lavoro;
…”.
Stabilisce l’art. 37 C.D.F.:
1. L’avvocato non deve acquisire rapporti di clientela a mezzo di agenzie o procacciatori o con modi non conformi a correttezza e decoro.
2. L’avvocato non deve offrire o corrispondere a colleghi o a terzi provvigioni o altri compensi quale corrispettivo per la presentazione di un cliente o per l’ottenimento di incarichi professionali.
3. Costituisce infrazione disciplinare l’offerta di omaggi o prestazioni a terzi ovvero la corresponsione o la promessa di vantaggi per ottenere difese o incarichi.
4. E’ vietato offrire, sia direttamente che per interposta persona, le proprie prestazioni professionali al domicilio degli utenti, nei luoghi di lavoro, di riposo, di svago e, in generale, in luoghi pubblici o aperti al pubblico.
5. E’ altresì vietato all’avvocato offrire, senza esserne richiesto, una prestazione personalizzata e, cioè, rivolta a una persona determinata per uno specifico affare.
6. La violazione dei doveri di cui ai commi precedenti comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della censura.
3. La disciplina delle incompatibilità
Ratio della disciplina delle incompatibilità è quella di garantire l’autonomia e l’indipendenza dell’avvocato nell’esercizio della sua attività professionale, nonché di tutelare la dignità e il decoro della professione
Al comma secondo dell’art. 6 C.d.F., il legislatore pone il principio per cui ogni attività svolta dall’avvocato, qualunque essa sia, deve essere compatibile con i generali doveri di indipendenza, dignità e decoro che devono sempre caratterizzare l’esercizio della professione forense.
L’Avvocato dovrà quindi valutare la compatibilità a tali standard di comportamento rispetto ad ogni attività che svolga, anche occasionalmente.
Con riferimento invece alla norma che disciplina le incompatibilità dal punto di vista delle attività che possono essere svolte, la lettera a) dell’art. 18 L. 247/2012, dispone che all’avvocato sia precluso lo svolgimento di ogni attività di lavoro autonomo estraneo alla professione forense, che sia svolto in modo continuativo o professionale, ad eccezione di determinate attività tassativamente elencate, che lo stesso legislatore ha evidentemente ritenuto non lesive dell’indipendenza, dignità e decoro della classe forense.
L’attività di presidenza di un comitato di genitori di quartiere per gli obiettivi indicati, non retribuita e senza scopo di lucro, non rientra fra le attività vietate dall’art. 18 l. 247/2012, inquadrandosi piuttosto nell’ambito delle attività socialmente utili assimilabili più alle attività di tipo culturale che non a quelle di natura professionale o di lavoro subordinato.
Con riferimento alla possibilità di stabilire la sede del comitato presso lo studio legale del Presidente dello stesso, si rileva che il CNF ha in più occasioni stabilito che “vìola l’art. 37 ncdf (già, 19 cdf) l’avvocato presso il cui studio legale sia ubicata una associazione di categoria, così ponendo in essere le condizioni di potenziale accaparramento di clientela, indipendentemente dalla circostanza dell’effettivo raggiungimento di concreti vantaggi economici (Nel caso di specie, il professionista dichiarava ad un organo di stampa di poter far ottenere ai propri assistiti una tutela legale completamente gratuita grazie ad una convenzione stipulata con un’associazione di consumatori, la cui sede provinciale aveva come indirizzo e fax quelli dello studio del professionista stesso. In applicazione del principio di cui in massima, il CNF ha ritenuto congrua la sanzione disciplinare della censura)”(così CNF, 7 marzo 2016, n. 29. In senso conforme v. anche 16 aprile 2014, n. 46, e CNF, 29 novembre 2012, n. 170, nonché CNF n. 137/2008).
Si ritiene tuttavia che il principio stabilito non sia applicabile al caso in cui lo studio legale costituisca sede di un’associazione in cui l’avvocato, a titolo gratuito, direttamente si fa portatore di interessi la cui tutela solo eventualmente potrebbe azionare in giudizio (il legale assume infatti la carica di Presidente di un comitato da lui stesso costituito insieme a terzi) e i cui obiettivi non coincidono con l’acquisizione di mandati per agire in giudizio a favore di terzi per la tutela dei loro interessi (come invece accadrebbe, ad esempio, nel caso in cui il legale stabilisse la propria sede presso un’associazione di consumatori).
Ciò detto circa il quesito, ci corre infine l’obbligo di precisare che:
– con la nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense “il potere disciplinare appartiene ai consigli distrettuali di disciplina forense” e dunque non rientra più tra i compiti e le prerogative del Consiglio dell’Ordine;
– ne consegue che i pareri in materia deontologica che gli iscritti richiedono al Consiglio dell’Ordine vengono da questo rilasciati in termini generali e non assumono né possono assumere, in eventuali procedimenti disciplinari, alcuna funzione orientativa né tantomeno vincolante del giudizio del Consiglio Distrettuale di Disciplina né rilevare quali esimente dell’iscritto sotto il profilo soggettivo;
– pertanto, è possibile che il Consiglio Distrettuale di Disciplina, nella sua autonoma valutazione di comportamenti concretamente tenuti, possa pervenire a conclusioni diverse da quelle fatte proprie dal Consiglio.