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parere

Avvocato: circa la preclusione per l’avvocato di far parte del comitato di gestione di un’associazione che esercita attività commerciale

1. Quesito. Un avvocato chiede a questo Consiglio un parere avente ad oggetto la possibilità di far parte del Comitato di gestione di un’associazione senza scopo di lucro – riconosciuta come persona giuridica con Decreto del Prefetto-  che svolge prevalentemente attività commerciale campeggistica.

Si tratta di un’associazione turistica e sportiva che tra i suoi scopi principali ha quelli di praticare il campeggio, promuovere il turismo e le attività connesse, tutelare la natura ed il territorio. Al fine di raggiungere i suddetti scopi, tale associazione svolge un’attività commerciale e gli utili ricavati non possono essere ripartiti tra i soci ma servono solo ed esclusivamente per il raggiungimento degli scopi statutari.

Nell’associazione sta per essere introdotto un nuovo organo, ossia il Comitato di gestione, composto dal Presidente del Consiglio direttivo e da due membri nominati dallo stesso e scelti tra i membri del Consiglio direttivo o altri soggetti, soci o non soci. Si tratterebbe quindi di un organo collegiale che assumerebbe le proprie decisioni a maggioranza ed in caso di parità prevarrebbe il voto del Presidente o di colui che presiede la seduta. Al Comitato di gestione spetterebbero tutti i poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione, che dovrebbero essere esercitati nei limiti di spesa e secondo gli indirizzi fissati dal Consiglio direttivo. Infatti il Comitato di gestione risponderebbe del proprio operato al Consiglio direttivo. Inoltre i membri del Comitato di gestione risponderebbero personalmente delle spese da loro deliberate in misura eccedente il limite fissato dal Consiglio direttivo, salva successiva ratifica da parte del Consiglio stesso.

L’avvocato chiede se potrebbe far parte del Comitato di gestione, non come Presidente ma come membro semplice, e precisa che i singoli membri del Comitato di gestione non potrebbero assumere decisioni in autonomia a meno che non ricevano deleghe, che nel caso di specie non sarebbero conferite.

2. Risposta al quesito

Sono norme rilevanti ai fini della risposta al quesito:

L’art. 6 “Dovere di evitare incompatibilità” del Codice deontologico forense (“C.d.F.”) e l’art. 18 “Incompatibilità” della L. 31.12.12 n. 247 (Ordinamento forense).

Stabilisce l’art 6 del c.d.f. che:

“1. L’avvocato deve evitare attività incompatibili con la permanenza dell’iscrizione all’albo.

2. L’avvocato non deve svolgere attività comunque incompatibili con i doveri di indipendenza, dignità e decoro della professione forense”.

Stabilisce l’art. 18 della L. 31.12.12 n. 247 che:

“1. La professione di avvocato è incompatibile:

a) con qualsiasi altra attività di lavoro autonomo svolta continuativamente o professionalmente, escluse quelle di carattere scientifico, letterario, artistico e culturale, e con l’esercizio dell’attività di notaio. È consentita l’iscrizione nell’albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, nell’elenco dei pubblicisti e nel registro dei revisori contabili o nell’albo dei consulenti del lavoro;

b) con l’esercizio di qualsiasi attività di impresa commerciale svolta in nome proprio o in nome o per conto altrui. È fatta salva la possibilità di assumere incarichi di gestione e vigilanza nelle procedure concorsuali o in altre procedure relative a crisi di impresa;

c) con la qualità di socio illimitatamente responsabile o di amministratore di società di persone, aventi quale finalità l’esercizio di attività di impresa commerciale, in qualunque forma costituite, nonché con la qualità di amministratore unico o consigliere delegato di società di capitali, anche in forma cooperativa, nonché con la qualità di presidente di consiglio di amministrazione con poteri individuali di gestione. L’incompatibilità non sussiste se l’oggetto della attività della società è limitato esclusivamente all’amministrazione di beni, personali o familiari, nonché per gli enti e consorzi pubblici e per le società a capitale interamente pubblico;

d) con qualsiasi attività di lavoro subordinato anche se con orario di lavoro limitato”.

Con proprio parere emesso sotto la vigenza del precedente codice deontologico forense, il Consiglio Nazionale Forense aveva evidenziato che: “(…) Per le ragioni dianzi esposte, si deve ritenere che l’esercizio della professione forense sia incompatibile, ai sensi dell’art. 3, comma 1, R.D.L. n. 1578/1933, con la carica di Presidente di una associazione non lucrativa (ONLUS), qualora, ovviamente, le relative funzioni non siano di mera rappresentanza ma consentano l’esercizio di poteri gestionali”.

E’ noto che le Onlus siano una species del genus costituito dalle associazioni così come è altrettanto noto che la materia trovi ora disciplina del c.d. Codice del Terzo Settore di cui al D.Lgs  n. 117 del 3 luglio 2017:  il parere richiamato è pertinente ai nostri fini in quanto fissa il principio per il quale lo svolgimento di un’attività commerciale, anche se strumentale ad un’attività solidaristica, è fonte di incompatibilità ove l’avvocato assuma nell’ente ruoli gestori.

Il parere citato, come detto, è stato reso sotto la vigenza della previgente legge professionale: per valutarne la porta applicativa al caso di specie, è quindi necessario rapportarlo alla nuova Legge n.  247/2012 la quale, all’art. 18 non vieta più “’l’esercizio del commercio” ma l’esercizio di “attività di impresa commerciale”.

La modifica apportata induce a ritenere che ai fini dei divieti dell’art. 18 cit. non rilevi più solo l’attività di commercio in sé considerata ma sia necessario che l’attività svolta integri un’ “impresa commerciale”.

Orbene, ai fini della qualificazione in termini di imprenditore commerciale di un’associazione, la Suprema Corte (cfr., da ultimo, Cass. ord., 2 ottobre 2020, n. 21145 e Cass. ord., 16 marzo 2020, n. 7311, Cass. ord., 13 dicembre 2017, n 29886) ha stabilito che “lo scopo di lucro (c.d. lucro soggettivo) non è elemento essenziale per il riconoscimento della qualità di imprenditore commerciale, essendo individuabile l’attività di impresa tutte le volte in cui sussista una obiettiva economicità dell’attività esercitata, intesa quale proporzionalità tra costi e ricavi (c.d. lucro oggettivo)”.

Ciò che rileva è dunque l’attività in concreto esercitata, che deve avere carattere commerciale ed essere svolta in via esclusiva o prevalente. In presenza di un’attività commerciale di tipo non prevalente, per escludere che un’associazione possa non essere qualificata come imprenditore commerciale è invece necessario che la stessa sia in rapporto di strumentalità diretta e immediata con quei fini e, quindi, che l’attività dell’associazione sia più ampia e non si limiti a perseguire il procacciamento dei mezzi economici al riguardo occorrenti”.

Nel caso di specie lo svolgimento di un’attività commerciale è espressamente previsto dallo statuto e pare di natura prevalente.

Si legge inoltre nel testo della sentenza del CNF 11 novembre 2022 n. 208 che “il soggetto che riveste cariche sociali e al quale siano attribuiti effettivi poteri di gestione, versa in una situazione di incompatibilità con l’esercizio della professione di avvocato, con eccezione espressa, tra l’altro, costituita dall’ipotesi in cui rivesta l’incarico di amministratore in società a capitale interamente pubblico” [1].

Ove l’attività commerciale in concreto svolta assuma caratteri di prevalenza e/o esorbiti i ristretti limiti dell’autofinanziamento, si deve quindi ritenere che sussista l’incompatibilità in tutte le ipotesi in cui si possa configurare un potere gestorio in capo all’avvocato, ipotesi che ricorrerebbe certamente nel caso in cui l’avvocato ricopra la carica di componente del comitato di gestione e svolga attività di amministrazione ordinaria e straordinaria.

3. Conclusioni

Per i motivi sopra esposti, si deve ritenere che le associazioni riconosciute che svolgono attività commerciale siano qualificabili come imprenditori commerciali e che la professione di avvocato sia incompatibile con l’assunzione di ruoli gestori all’interno dei suddetti enti.

Ci corre infine l’obbligo di precisare che:

– con la nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense “il potere disciplinare appartiene ai consigli distrettuali di disciplina forense” e dunque non rientra più tra i compiti e le prerogative del Consiglio dell’Ordine;

– ne consegue che i pareri in materia deontologica che gli iscritti richiedono al Consiglio dell’Ordine vengono da questo rilasciati in termini generali e non assumono né possono assumere, in eventuali procedimenti disciplinari, alcuna funzione orientativa né tantomeno vincolante del giudizio del Consiglio Distrettuale di Disciplina né rilevare quali esimente dell’iscritto sotto il profilo soggettivo;

– pertanto, è possibile che il Consiglio Distrettuale di Disciplina, nella sua autonoma valutazione di comportamenti concretamente tenuti, possa pervenire a conclusioni diverse da quelle fatte proprie dal Consiglio.

NOTE [1] Ma v. anche la sentenza 26 giugno 2003, n. 165, con la quale il CNF ha stabilito che: “è incompatibile con l’esercizio della professione forense e deve essere cancellato l’avvocato presidente di una s.p.a., se pur municipalizzata, che vanti poteri effettivi di gestione ordinaria e straordinaria. La carica di presidente del consiglio di amministrazione o di amministratore di una società commerciale è, infatti, compatibile con l’esercizio della professione forense e l’iscrizione all’albo, solo nella ipotesi in cui tale funzione comporti compiti meramente amministrativi e rappresentativi. (Nella specie è stato cancellato l’avvocato che era stato nominato presidente di una s.p.a., in cui, per lo statuto sociale, aveva anche poteri gestori). (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Voghera, 14 novembre 2001)”.