Direttore Responsabile:

Susanna Della Felice

Coordinatore di Redazione:

Lapo Mariani

parere

Avvocato: circa l’attività di sostituzione in udienza ed il possibile conflitto di interessi

Viene sottoposto a questo Consiglio il seguente quesito:

Se un Collega chiede, in via occasionale, una sostituzione in udienza essendo il Cliente del medesimo e parte processuale un ente pubblico o privato contro cui l’Avvocato cui è rivolta la richiesta (e che dovrebbe sostituirlo) ha avuto di recente oppure ha in corso una o più cause o comunque delle controversie per conto di suo/suoi cliente/i privato/i, ebbene, in tale fattispecie la sostituzione in udienza configura una violazione deontologica?

Risposta al quesito

Sono norme rilevanti ai fini della risposta al quesito:

–      l’art. 14 della l. 247/2012 il quale, al comma 2, espressamente consente che l’avvocato possa farsi sostituire in udienza;

–      l’art. 24 del codice deontologico forense che stabilisce un obbligo per l’avvocato di astenersi dal prestare attività professionale quando questa possa determinare un conflitto con gli interessi della parte assistita e del cliente o interferire con lo svolgimento di altro incarico anche non professionale.

Si deve inoltre considerare il disposto dell’art. 102 del c.p.p. che stabilisce che il sostituto processuale dell’avvocato esercita i diritti e assume i doveri del difensore.

Nello stabilire il divieto di agire in conflitto di interessi l’art. 24 fa riferimento non all’assunzione di un mandato professionale, ma alla mera prestazione di “attività professionale”. Ritiene il Consiglio che la nozione di “attività professionale” includa anche l’attività che l’avvocato presta come sostituto processuale del dominus della causa in udienza.

Il C.N.F. nella sentenza n. 182 del 17 dicembre 2018 (vd. anche sentenza del 12 luglio 2016,  n. 186) ha fornito un’interpretazione dell’art. 24 c.d.f. in termini molto ampi: “affinché possa dirsi rispettato il canone deontologico posto dall’art. 24 cdf (già art. 37 codice previgente) non solo deve essere chiara la terzietà dell’avvocato, ma è altresì necessario che in alcun modo possano esservi situazioni o atteggiamenti tali da far intendere diversamente. La suddetta norma, invero, tutela la condizione astratta di imparzialità e di indipendenza dell’avvocato – e quindi anche la sola apparenza del conflitto – per il significato anche sociale che essa incorpora e trasmette alla collettività, alla luce dell’id quod plerumque accidit, sulla scorta di un giudizio convenzionale parametrato sul comportamento dell’uomo medio, avuto riguardo a tutte le circostanze e peculiarità del caso concreto, tra cui la natura del precedente e successivo incarico”. La ratio dell’art. 24 c.d.f. è, per il Consiglio Nazionale forense, quella di “evitare situazioni che possano far dubitare della correttezza dell’operato dell’avvocato e, quindi, perché si verifichi l’illecito, è sufficiente che potenzialmente l’opera del professionista possa essere condizionata da rapporti di interesse con la controparte”.

Non si ritiene che possa essere considerato fatto idoneo a giustificare l’attività in possibile conflitto di interessi il fatto che il sostituto agisca sulla base di istruzioni impartite direttamente dal sostituito: l’attività in udienza richiede infatti la presenza di un professionista proprio perché l’evoluzione della discussione nel corso dell’udienza stessa potrebbe richiedere di valutare aspetti non contemplati dal dominus della causa al momento del conferimento della delega e della indicazione delle istruzioni.

Si ritiene pertanto che l’avvocato non possa sostituire in udienza un collega quando la sua controparte in udienza sia un cliente dallo stesso difeso quale avvocato mandatario in altre cause, seppure con diverse controparti.

Ci corre infine l’obbligo di precisare che:

– con la nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense “il potere disciplinare appartiene ai consigli distrettuali di disciplina forense” e dunque non rientra più tra i compiti e le prerogative del Consiglio dell’Ordine;

– ne consegue che i pareri in materia deontologica che gli iscritti richiedono al Consiglio dell’Ordine vengono da questo rilasciati in termini generali e non assumono né possono assumere, in eventuali procedimenti disciplinari, alcuna funzione orientativa né tantomeno vincolante del giudizio del Consiglio Distrettuale di Disciplina né rilevare quali esimente dell’iscritto sotto il profilo soggettivo;

– pertanto, è possibile che il Consiglio Distrettuale di Disciplina, nella sua autonoma valutazione di comportamenti concretamente tenuti, possa pervenire a conclusioni diverse da quelle fatte proprie dal Consiglio.