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parere

Avvocato: circa le incompatibilità dell’avvocato che agisce in nome e per conto di un’associazione non riconosciuta

  1. Quesito

E’ stato formulato a questo Consiglio dell’Ordine il seguente quesito.

Un avvocato viene designato Presidente di un’associazione non riconosciuta con finalità di utilità sociale ( Rotary Club )  e chiede se tale qualifica possa essere compatibile o meno con quella della Professione Forense.

Viene precisato che l’associazione individua aree di intervento e/o iniziative tese a fornire solitamente un servizio alla collettività.

Queste iniziative assumono la definizione di services, che possono essere classificati in services divulgativi e services economici.

I dubbi dell’avvocato circa la compatibilità con la professione forense sorgono in merito ai c.d. services economici ovvero tutte quelle iniziative che non si svolgono a titolo gratuito ma spesso sono frutto di una decisione a monte dell’organo ammnistrativo di svolgere un certo tipo di attività con conferimento di poteri gestori al Presidente in seno all’Associazione.

Per rispondere al quesito si richiamerà il parere espresso da questo Consiglio su quesito analogo nel settembre 2020.

  1. Norme rilevanti e giurisprudenza.

Sono norme rilevanti ai fini della risposta al quesito:

  1. L’art. 6 “Dovere di evitare incompatibilità” del Codice deontologico forense (“C.d.F.”) e l’art. 18 “Incompatibilità” della L. 31.12.12 n. 247 (Ordinamento forense).

Stabilisce l’art 6 del c.d.f. che:

1. L’avvocato deve evitare attività incompatibili con la permanenza dell’iscrizione all’albo.

  1. L’avvocato non deve svolgere attività comunque incompatibili con i doveri di indipendenza, dignità e decoro della professione forense”.

Stabilisce l’art. 18 della L. 31.12.12 n. 247 che:

  1. La professione di avvocato è incompatibile:
  2. a) con qualsiasi altra attività di lavoro autonomo svolta continuativamente o professionalmente, escluse quelle di carattere scientifico, letterario, artistico e culturale, e con l’esercizio dell’attività di notaio. È consentita l’iscrizione nell’albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, nell’elenco dei pubblicisti e nel registro dei revisori contabili o nell’albo dei consulenti del lavoro;
  3. b) con l’esercizio di qualsiasi attività di impresa commerciale svolta in nome proprio o in nome o per conto altrui. È fatta salva la possibilità di assumere incarichi di gestione e vigilanza nelle procedure concorsuali o in altre procedure relative a crisi di impresa;
  4. c) con la qualità di socio illimitatamente responsabile o di amministratore di società di persone, aventi quale finalità l’esercizio di attività di impresa commerciale, in qualunque forma costituite, nonché con la qualità di amministratore unico o consigliere delegato di società di capitali, anche in forma cooperativa, nonché con la qualità di presidente di consiglio di amministrazione con poteri individuali di gestione. L’incompatibilità non sussiste se l’oggetto della attività della società è limitato esclusivamente all’amministrazione di beni, personali o familiari, nonché per gli enti e consorzi pubblici e per le società a capitale interamente pubblico;
  5. d) con qualsiasi attività di lavoro subordinato anche se con orario di lavoro limitato”.
  6. l’art. 38 del codice civile ove si stabilisce che nelle associazioni non riconosciute:

“Per le obbligazioni assunte dalle persone che rappresentano l’associazione i terzi possono far valere i loro diritti sul fondo comune. Delle obbligazioni stesse rispondono anche personalmente e solidalmente le persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione.”

Della questione è stato investito il Consiglio Nazionale Forense (CNF) il quale, con parere del 28 marzo 2012, n. 5, sotto la vigenza della previgente legge professionale, così ha stabilito:

“Come è noto, le cosiddette ONLUS, ovverosia le «Organizzazioni non lucrative di utilità sociale» hanno trovato regolamentazione nell’art. 10 del D. Lgs. n. 460 del 4 dicembre 1997; la succitata norma della vigente legge professionale sancisce, invece, l’incompatibilità dell’esercizio della professione forense con «l’esercizio del commercio in nome proprio o in nome altrui»”.

Il quesito, pertanto, si pone nei seguenti termini: una ONLUS svolge o meno attività commerciale? La mancanza, infatti, del fine di lucro si pone in posizione secondaria e non influente sulla soluzione del quesito, atteso che, di per sé, il commercio configura un’attività fondata sullo scambio di merce e/o servizi con equivalenti, ovvero con denaro. Non presuppone necessariamente, però, il fine di lucro.

Orbene, posto quanto sopra, va osservato che il soprarichiamato art. 10 consente alle ONLUS di svolgere attività non lucrative in svariati settori, per l’esclusivo perseguimento di scopi di solidarietà sociale. La medesima norma prevede altresì, alla lettera d) del comma 1, «il divieto di distribuire, anche in modo indiretto, utili e avanzi di gestione ..» ed alla successiva lettera e) «l’obbligo di impiegare gli utili e gli avanzi di gestione».

Ancora, al successivo comma 2, la norma richiama «le cessioni di beni e le prestazioni di servizi relative alle attività statutarie..».

Pare pacifico, quindi, che le ONLUS possano svolgere attività commerciale ed in tal senso si sono pronunciate anche le S.U. della Suprema Corte con la sentenza n. 24883 del 2008, secondo la quale lo svolgimento di attività remunerata non è incompatibile con i fini di solidarietà di una Onlus.
Per le ragioni dianzi esposte, si deve ritenere che l’esercizio della professione forense sia incompatibile, ai sensi dell’art. 3, comma 1, R.D.L. n. 1578/1933, con la carica di Presidente di una associazione non lucrativa (ONLUS), qualora, ovviamente, le relative funzioni non siano di mera rappresentanza ma consentano l’esercizio di poteri gestionali”.

E’ noto che le Onlus siano una species del genus costituito dalle associazioni così come è altrettanto noto che la materia trovi ora disciplina del c.d. Codice del Terzo Settore di cui al D.Lgs  n. 117 del 3 luglio 2017:  il parere richiamato è pertinente ai nostri fini in quanto fissa il principio per il quale lo svolgimento di un’attività commerciale, anche se strumentale ad un’attività solidaristica, è fonte di incompatibilità ove l’avvocato assuma nell’ente ruoli gestori.

Il parere citato, come detto, è stato reso sotto la vigenza della previgente legge professionale: per valutarne la porta applicativa al caso di specie, è ovviamente necessario rapportarlo alla nuova Legge n.  247/2012 la quale, all’art. 18 non vieta più “’l’esercizio del commercio” ma l’esercizio di “attività di impresa commerciale”.

La modifica apportata induce a ritenere che ai fini dei divieti dell’art. 18 cit. non rilevi più solo l’attività di commercio in sé considerata ma sia necessario che l’attività svolta integri un’ “impresa commerciale”.

Orbene, ai fini della qualificazione in termini di imprenditore commerciale di un’associazione, la Suprema Corte (cfr. Cass. 29886/2017) ha stabilito che ciò che rileva è l’attività in concreto esercitata, che deve avere carattere commerciale ed essere svolta in via esclusiva o principale. In presenza di un’attività commerciale di tipo non prevalente, è invece necessario che la stessa sia in rapporto di strumentalità diretta e immediata con quei fini e, quindi, che l’attività dell’associazione sia più ampia e non si limiti a perseguire il procacciamento dei mezzi economici al riguardo occorrenti.

Ai sensi del comma 5 bis dell’art. 79 del codice del terzo settore, devono inoltre “considerarsi entrate derivanti da attività non commerciali i contributi, le sovvenzioni, le liberalità, le quote associative dell’ente e ogni altra entrata assimilabile alle precedenti, ivi compresi i proventi e le entrate considerate non commerciali ai sensi dei commi 2, 3 e 4 tenuto conto altresì del valore normale delle cessioni o prestazioni afferenti le attività svolte con modalità non commerciali”.

Le norme del codice del terzo settore si applicano agli enti iscritti al Registro Unico del Terzo Settore, ma si ritiene che possano servire anche come criteri interpretativi per definire la natura commerciale o non commerciale delle attività svolte da enti che, pur non essendo iscritti al Registro Unico, abbiano gli stessi scopi e svolgano attività analoga a quella tipica degli enti del terzo settore.

  1. Conclusioni del Consiglio

Nel caso di specie l’atto costitutivo non prevede lo svolgimento di un’attività commerciale e l’attività di contenuto economico svolta dall’ente appare volta non al procacciamento di mezzi economici, ma soltanto al finanziamento di opere e attività saltuarie e di diversa natura con il fine di beneficiare la collettività, scopo tipico degli enti del terzo settore.

Ove l’attività commerciale in concreto svolta non assuma caratteri di prevalenza e/o non esorbiti i ristretti limiti dell’autofinanziamento, si deve ritenere che non sussista l’incompatibilità. L’avvocato che all’esterno agisca in nome e per conto dell’associazione non riconosciuta, qualunque sia il ruolo o la funzione da esso ricoperta all’interno dell’organizzazione, non deve considerarsi in posizione di incompatibilità laddove l’associazione stessa non svolga attività che possa definirsi di “impresa commerciale” (cfr. l’art. 18, lett. c, della L. 31.12.12 n. 247).

Ciò detto circa il quesito, ci corre infine l’obbligo di precisare che:

– con la nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense “il potere disciplinare appartiene ai consigli distrettuali di disciplina forense” e dunque non rientra più tra i compiti e le prerogative del Consiglio dell’Ordine;

– ne consegue che i pareri in materia deontologica che gli iscritti richiedono al Consiglio dell’Ordine vengono da questo rilasciati in termini generali e non assumono né possono assumere, in eventuali procedimenti disciplinari, alcuna funzione orientativa né tantomeno vincolante del giudizio del Consiglio Distrettuale di Disciplina né rilevare quali esimente dell’iscritto sotto il profilo soggettivo;

– pertanto, è possibile che il Consiglio Distrettuale di Disciplina, nella sua autonoma valutazione di comportamenti concretamente tenuti, possa pervenire a conclusioni diverse da quelle fatte proprie dal Consiglio.