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Coordinatore di Redazione:

Lapo Mariani

parere

Avvocato: circa l’indicazione del titolo di “Avvocato” insieme a quello di “Assistente Sociale”

1.  Quesito. Viene sottoposto a questo Consiglio il seguente quesito.

Un avvocato che a suo tempo aveva conseguito l’abilitazione all’esercizio della professione di assistente sociale sta per divenire mediatore familiare dopo un master. Si pone dunque il problema se sia corretto indicare sul proprio biglietto da visita, sotto la qualifica di Avvocato, anche quella di Assistente Sociale (pur non potendo esercitare) e Mediatore Familiare

2. Norme rilevanti e giurisprudenza. Vengono in rilievo l’art. 10 della l. 247/2012 e gli artt. 35 e 36 del Codice deontologico forense (c.d.f.).

Più in particolare l’art. 10 della l. 247/2012 stabilisce che:

“1. È consentita all’avvocato la pubblicità informativa sulla propria attività professionale, sull’organizzazione e struttura dello studio e sulle eventuali specializzazioni e titoli scientifici e professionali posseduti.

2. La pubblicità e tutte le informazioni diffuse pubblicamente con qualunque mezzo, anche informatico, debbono essere trasparenti, veritiere, corrette e non devono essere comparative con altri professionisti, equivoche, ingannevoli, denigratorie o suggestive.

3. In ogni caso le informazioni offerte devono fare riferimento alla natura e ai limiti dell’obbligazione professionale.

4. L’inosservanza delle disposizioni del presente articolo costituisce illecito disciplinare”.

Si ricorda che l’art. 35 del c.d.f. stabilisce il dovere di verità, correttezza, trasparenza, segretezza e riservatezza, nonché l’obbligo di indicare il titolo professionale, la denominazione dello studio e l’Ordine di appartenenza. Le forme e le modalità delle informazioni devono comunque rispettare i principi di dignità e decoro della professione. La violazione dei doveri appena indicati comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della censura.

L’art. 36 prevede, al comma 1, che:

“1. Costituisce illecito disciplinare l’uso di un titolo professionale non conseguito ovvero lo svolgimento di attività in mancanza di titolo o in periodo di sospensione.

 2. (…)

3. La violazione del comma 1 comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da sei mesi a un anno. (…) 

3. Valutazione della fattispecie. Secondo questo Consiglio dell’Ordine l’art. 10 del c.d.f. deve essere interpretato nel senso che è consentita all’avvocato l’indicazione sul proprio biglietto da visita dei titoli e delle abilitazioni effettivamente conseguiti che siano relativi alle attività professionali compatibili con lo svolgimento della professione forense ai sensi dell’art. 18 l. 247/2012. Ciò anche qualora l’indicazione sia effettuata a solo scopo informativo e l’avvocato non intenda comunque svolgere l’attività diversa da quelle compatibili con l’esercizio della professione forense per cui è stato abilitato.

Si ritiene pertanto che sia consentita l’indicazione del titolo di mediatore familiare, ma non quella relativa al conseguimento dell’abilitazione come assistente sociale, attività il cui esercizio, ai sensi dell’art. 18 della l. 247/2012, non è compatibile con il mantenimento dell’iscrizione all’albo degli avvocati.

Ogni indicazione deve essere effettuata in modo da dare una informazione completa, trasparente e non ingannevole in merito all’attività effettivamente esercitata e ai titoli effettivamente e definitivamente conseguiti. Il tutto quindi nel rispetto dei criteri e dei canoni indicati dalle norme deontologiche sopra citate.

Ciò detto circa il quesito, ci corre infine l’obbligo di precisare che:

– con la nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense “il potere disciplinare appartiene ai consigli distrettuali di disciplina forense” e dunque non rientra più tra i compiti e le prerogative del Consiglio dell’Ordine;

– ne consegue che i pareri in materia deontologica che gli iscritti richiedono al Consiglio dell’Ordine vengono da questo rilasciati in termini generali e non assumono né possono assumere, in eventuali procedimenti disciplinari, alcuna funzione orientativa né tantomeno vincolante del giudizio del Consiglio Distrettuale di Disciplina né rilevare quali esimente dell’iscritto sotto il profilo soggettivo;

– pertanto, è possibile che il Consiglio Distrettuale di Disciplina, nella sua autonoma valutazione di comportamenti concretamente tenuti, possa pervenire a conclusioni diverse da quelle fatte proprie dal Consiglio.