1. Quesito
Un’ avvocata ha ricevuto una proposta di incarico da una impresa sociale che gestisce un centro di accoglienza straordinaria (cd. CAS).
L’avvocata espone che l’impegno richiesto alla impresa sociale va dalla gestione dell’accoglienza “materiale” dei migranti (ad es. vitto, alloggio, vestiario, visite mediche…) fino alla gestione giuridico-amministrativa dei servizi dati, che devono essere conformi alle norme di legge e del bando prefettizio.
Precisa poi che tra gli impegni vi sono, a titolo esemplificativo, la notifica di atti riguardanti la domanda di protezione internazionale, notifiche riguardanti le misure di accoglienza, la redazione dei vari regolamenti del centro e la spiegazione di eventuali contestazioni fatte al singolo ospite da parte della Prefettura, ma anche una sorta di dichiarazione di conformità dei servizi erogati al bando prefettizio attraverso una puntuale verifica degli atti, quali registri, circolari o simili, che devono essere conformi a quanto richiesto dalla Prefettura.
Ed è proprio per occuparsi di queste ultime questioni (compresa la partecipazione ad incontri nelle varie Prefetture) che l’ impresa sociale ha chiesto all’avvocata di assumere un incarico.
La figura viene indicata con la denominazione di “direttore”; nel caso di specie però la società ha previsto che ci siano due figure distinte che operano nel centro.
Da una parte il direttore con le funzioni sopra indicate; dall’altra il coordinatore che ha la funzione di decidere sulla modalità dei servizi, sulla gestione degli operatori del centro, sugli aspetti economici e che è un dipendente della impresa sociale.
La funzione dell’avvocata sarebbe svolta in totale autonomia sia di tempo (la Prefettura chiede un impegno di ore minimo nel bando, ma non da indicazione di quando deve essere svolto), che di luogo (nulla vieta che l’avvocata riceva la documentazione presso il suo studio); ma soprattutto senza nessun vincolo gerarchico, poiché dovrebbe al più riferire al coordinatore eventuali anomalie prima di inviare la documentazione alla Prefettura.
Il compenso sarebbe corrisposto dietro presentazione di fattura con cadenza decisa dalla professionista. Viene infine precisato che l’ente proponente l’incarico è una impresa sociale a responsabilità limitata, senza scopo di lucro, con finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale.
Viene pertanto richiesto se l’attività di “direttore” come sopra configurata sia compatibile con la professione forense.
2. Norme rilevanti
Sono norme rilevanti ai fini della risposta al quesito l’art. 6 “Dovere di evitare incompatibilità” del Codice deontologico forense (“C.d.F.”) e l’art. 18 “Incompatibilità” della L. 31.12.12 n. 247 (Ordinamento forense)
Stabilisce l’art 6 del c.d.f. che:
“1. L’avvocato deve evitare attività incompatibili con la permanenza dell’iscrizione all’albo.
2. L’avvocato non deve svolgere attività comunque incompatibili con i doveri di indipendenza, dignità e decoro della professione forense”.
Stabilisce l’art. 18 della L. 31.12.12 n. 247 che:
1. La professione di avvocato è incompatibile:
a) con qualsiasi altra attività di lavoro autonomo svolta continuativamente o professionalmente, escluse quelle di carattere scientifico, letterario, artistico e culturale, e con l’esercizio dell’attività di notaio. È consentita l’iscrizione nell’albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, nell’elenco dei pubblicisti e nel registro dei revisori contabili o nell’albo dei consulenti del lavoro;
…”.
La violazione delle norme in questione comporta la sanzione della cancellazione dall’Albo degli Avvocati.
3. La disciplina delle incompatibilità
Ratio della disciplina delle incompatibilità è quella di garantire l’autonomia e l’indipendenza dell’avvocato nell’esercizio della sua attività professionale, nonché di tutelare la dignità e il decoro della professione.
Con riferimento invece alla norma che disciplina le incompatibilità dal punto di vista delle attività che possono essere svolte, la lettera a) dell’art. 18, dispone che all’avvocato sia precluso lo svolgimento di ogni attività di lavoro autonomo estraneo alla professione forense, che sia svolto in modo continuativo o professionale, ad eccezione di determinate attività tassativamente elencate, che lo stesso legislatore ha evidentemente ritenuto non lesive dell’indipendenza, dignità e decoro della classe forense.
Con riferimento al requisito della continuatività, in un parere relativo alla “professione” di “Navigator” il Consiglio Nazionale Forense così si è espresso escludendo la ricorrenza del requisito: “Alcuni elementi fattuali e giuridici, che caratterizzano la fattispecie in esame, appaiano, tuttavia, idonei a far ritenere, nel caso de quo, insussistente il requisito della continuatività, con conseguente compatibilità, sotto tale primo profilo, con l’esercizio della professione forense, dell’attività svolta del Navigator, e ciò anche alla luce del consolidato principio secondo cui le cause di incompatibilità professionale costituiscono numero chiuso e le relative situazioni devono essere interpretate in senso restrittivo (cfr., per tutte, Consiglio Nazionale Forense -pres. f.f. Picchioni, rel. De Michele-, sentenza del 18 dicembre 2017, n. 209).
Gli elementi cui, in particolare, si fa riferimento sono i seguenti: 1) il contratto di collaborazione in esame non richiede al Navigator un impegno costante e diuturno e la previsione secondo la quale al collaboratore “…potrà essere richiesta una disponibilità giornaliera e/o settimanale determinata” conferma che l’attività non dovrà essere espletata con continuità e assiduità. 2) il medesimo contratto prevede, inoltre, che il Navigator concorderà tempi e modalità di esecuzione della prestazione con il referente dell’ANPAL e potrà svolgere, durante il periodo dei 21 mesi, altre attività lavorative che non siano in concorrenza o in conflitto di interessi con l’ANPAL” .(CNF, parere n. 1 del 20 gennaio 2020 con riferimento alla figura del Navigator).
Spetta all’avvocato richiedente, alla luce di quanto ritenuto dal CNF nel citato parere, valutare se, in concreto, ricorrono i presupposti per la continuità di cui all’art. 18 l. 247/2012.
Sempre nello stesso parere, con riferimento al requisito della professionalità, il Consiglio Nazionale Forense si è espresso nel senso di “ritenere «professionale» l’attività di lavoro autonomo quando essa sia ascrivibile ad una «professione vera e propria» o quantomeno ad «una professione regolamentata» con conseguente necessità di iscrizione in un albo o in uno specifico registro”, mentre non sarebbero tali, e quindi compatibili con la professione forense, le professioni che non prevedono tali iscrizioni.(CNF, parere n. 1 del 20 gennaio 2020 con riferimento alla figura del Navigator).
Facendo inoltre riferimento al proprio parere n. 36/2017, con riferimento alla possibilità dell’esercizio della professione di grafologo, il CNF così si era già espresso ritenendo lo svolgimento della “professione” compatibile con il mantenimento dell’iscrizione all’albo degli avvocati sulla base della seguente motivazione: “La legge n. 4/2013 disciplina le professioni non organizzate in ordini o collegi, con ciò intendendosi «l’attività economica, anche organizzata, volta alla prestazione di servizi o di opere a favore di terzi, esercitata abitualmente e prevalentemente mediante lavoro intellettuale, o comunque con il concorso di questo, con esclusione delle attività riservate per legge a soggetti iscritti in albi o elenchi ai sensi dell’art. 2229 del codice civile, delle professioni sanitarie e delle attività e dei mestieri artigianali, commerciali e di pubblico esercizio disciplinati da specifiche normative» (art. 1, comma 2). (…)
Dal dettato normativo si evince chiaramente che l’eventuale iscrizione ad una di dette associazioni non integra la fattispecie di iscrizione ad altro Albo, contemplata dall’art. 18, lett. a) della legge professionale forense tra le ipotesi di incompatibilità con l’iscrizione nell’Albo, rientrando piuttosto nella libertà associativa dell’avvocato che, peraltro, ben potrebbe svolgere l’attività di cui all’oggetto della associazione anche senza esservi iscritto (essendo la costituzione dell’associazione meramente eventuale e non sussistendo alcun vincolo di rappresentanza esclusiva).
Al quesito, pertanto, deve essere data risposta positiva. Restano ferme, come ovvio, le rimanenti cause di incompatibilità di cui all’art. 18 della legge n. 247/12.” (CNF parere n. 41 del 9 ottobre 2024).
4. Conclusioni
Può dunque ritenersi compatibile con la professione forense ogni attività professionale che non richieda l’iscrizione in un apposito albo o elenco ai sensi della legge 4/2003.
Ciò detto circa il quesito, ci corre infine l’obbligo di precisare che:
– con la nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense “il potere disciplinare appartiene ai consigli distrettuali di disciplina forense” e dunque non rientra più tra i compiti e le prerogative del Consiglio dell’Ordine;
– ne consegue che i pareri in materia deontologica che gli iscritti richiedono al Consiglio dell’Ordine vengono da questo rilasciati in termini generali e non assumono né possono assumere, in eventuali procedimenti disciplinari, alcuna funzione orientativa né tantomeno vincolante del giudizio del Consiglio Distrettuale di Disciplina né rilevare quali esimente dell’iscritto sotto il profilo soggettivo;
– pertanto, è possibile che il Consiglio Distrettuale di Disciplina, nella sua autonoma valutazione di comportamenti concretamente tenuti, possa pervenire a conclusioni diverse da quelle fatte proprie dal Consiglio.