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parere

Avvocato: compatibilità tra l’iscrizione all’albo forense come avvocato e il ruolo di socio di società agricola semplice per la gestione di terreni familiari

Viene chiesto a questo Consiglio un parere in merito ad una eventuale incompatibilità professionale.
Il parere viene richiesto da una dottoressa abilitata all’esercizio della professione forense.
La dottoressa in particolare precisa che è sua intenzione “porre in essere una società semplice agricola per la gestione dei terreni familiari”.
“La società … sarebbe ripartita” tra lei, il cui ruolo sarebbe quello di socio di società agricola semplice e sua madre, che rivestirebbe il ruolo di socio amministratore con la qualifica di iap (imprenditore agricolo professionale).
La dottoressa chiede se l’attività agricola, per la gestione di beni familiari, è da considerarsi incompatibile con l’esercizio della professione forense e quindi tale da impedirle l’iscrizione all’Albo.
La dottoressa allega alla richiesta di parere un parere rilasciato dal Consiglio dell’Ordine in data 28 marzo 2019 inerente questa problematica”.
Per rispondere alla richiesta di parere occorre prendere in esame alcune norme.
In particolare vengono in rilievo l’art. 6 del c.d.f. “Dovere di evitare incompatibilità”, l’art. 18 della L. 31.12.12 n. 247 “Incompatibilità”, l’art. 21 della L. 31.12.12 n. 247 “Esercizio professionale effettivo, continuativo, abituale e prevalente e revisione degli albi, degli elenchi e dei registri; obbligo di iscrizione alla previdenza forense”, l’art. 2083 c.c. “Piccoli imprenditori” e l’art. 2135 c.c. “Imprenditore agricolo”.
L’art 6 del c.d.f. stabilisce che:
“1. L’avvocato deve evitare attività incompatibili con la permanenza dell’iscrizione all’albo.
2. L’avvocato non deve svolgere attività comunque incompatibili con i doveri di indipendenza, dignità e decoro della professione forense”.
L’art. 18 della L. 31.12.12 n. 247 stabilisce che:
1. La professione di avvocato è incompatibile:
a) con qualsiasi altra attività di lavoro autonomo svolta continuativamente o professionalmente, escluse quelle di carattere scientifico, letterario, artistico e culturale, e con l’esercizio dell’attività di notaio. È consentita l’iscrizione nell’albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, nell’elenco dei pubblicisti e nel registro dei revisori contabili o nell’albo dei consulenti del lavoro;
b) con l’esercizio di qualsiasi attività di impresa commerciale svolta in nome proprio o in nome o per conto altrui. È fatta salva la possibilità di assumere incarichi di gestione e vigilanza nelle procedure concorsuali o in altre procedure relative a crisi di impresa;
c) con la qualità di socio illimitatamente responsabile o di amministratore di società di persone, aventi quale finalità l’esercizio di attività di impresa commerciale, in qualunque forma costituite, nonché con la qualità di amministratore unico o consigliere delegato di società di capitali, anche in forma cooperativa, nonché con la qualità di presidente di consiglio di amministrazione con poteri individuali di gestione. L’incompatibilità non sussiste se l’oggetto della attività della società è limitato esclusivamente all’amministrazione di beni, personali o familiari, nonché per gli enti e consorzi pubblici e per le società a capitale interamente pubblico;
d) con qualsiasi attività di lavoro subordinato anche se con orario di lavoro limitato”.
L’art. 21 della L. 31.12.12 n. 247 stabilisce che:
“1. La permanenza dell’iscrizione all’albo è subordinata all’esercizio della professione in modo effettivo, continuativo, abituale e prevalente, salve le eccezioni previste anche in riferimento ai primi anni di esercizio professionale. Le modalità di accertamento dell’esercizio effettivo, continuativo, abituale e prevalente della professione, le eccezioni consentite e le modalità per la reiscrizione sono disciplinate con regolamento adottato ai sensi dell’articolo 1 e con le modalità nello stesso stabilite, con esclusione di ogni riferimento al reddito professionale. (…)”. La mancanza della effettività, continuatività, abitualità e prevalenza dell’esercizio professionale comporta, se non sussistono giustificati motivi, la cancellazione dall’albo.
L’art. 2083 del codice civile definisce i piccoli imprenditori:
“Sono piccoli imprenditori i coltivatori diretti del fondo, gli artigiani, i piccoli commercianti e coloro che esercitano un’attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia”.
L’art. 2135 del codice civile fornisce la nozione di imprenditore agricolo:
“È imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse.
Per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si intendono le attività dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine.
Si intendono comunque connesse le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge”
Il Consiglio Nazionale Forense in diversi pareri (n. 30 e n. 31 del 9 maggio 2007, n. 44 del 28 ottobre 2009, n. 44 del 25 novembre 2009, n. 1 del 14 gennaio 2011), in parte richiamati dal parere n. 92 del 25 settembre 2013, si è, del resto, espresso nel seguente modo:
“Ritiene questa Commissione che anche dopo l’entrata in vigore della Legge n. 247/2012 debba essere confermato il proprio costante orientamento, espresso nella vigenza del precedente ordinamento professionale forense e illustrato da ultimo nei pareri 14 gennaio 2011, n.1 e 25 novembre 2009, n. 44 e 9 maggio 2007, n. 31, nei quali si sono indicati i criteri utili a valutare in concreto la compatibilità tra lo svolgimento di attività imprenditoriale agricola e la contemporanea permanenza nell’albo degli avvocati. Si deve premettere che l’incertezza interpretativa ha ragione d’essere solo con riferimento al piccolo imprenditore agricolo: è evidente che, qualora si tratti di un titolare di una consistente impresa organizzata, o ancora con attività estesa all’industria e al commercio nel settore agroalimentare, questi deve essere considerato un “esercente il commercio” nel senso più pieno di cui all’art.18 della Legge Professionale Forense e l’iscrizione nell’Albo incompatibile con l’attività svolta. Di contro, non rientra tra quelle incompatibili la figura del piccolo imprenditore agricolo: tale è per il codice civile (art. 2083) e la giurisprudenza colui che, per mezzo del lavoro proprio o di quello dei propri congiunti, coltiva il fondo di sua proprietà, eventualmente cedendo i frutti a terzi. Manca, dunque, al piccolo imprenditore agricolo quel quid pluris, rappresentato, ad esempio, da una organizzazione aziendale molto articolata, o dallo smercio di prodotti chiaramente eccedenti quelli prodotti dal fondo, o, anche, da una rilevante trasformazione del prodotto naturale, da cui si possa arguire che il carattere predominante dell’attività intrapresa è l’esercizio del commercio, anziché il mero sfruttamento (più o meno redditizio) delle risorse terriere.
Si consideri che i caratteri sopra indicati sono, del resto, quelli che garantiscono al piccolo imprenditore la non assoggettabilità alle norme in materia di fallimento, secondo la previsione dell’art. 1 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, come modificato con d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169 (il profilo della soggezione, o meno, al fallimento rimanendo peraltro un corollario e non un criterio distintivo univoco). La condizione di piccolo imprenditore agricolo non è quindi d’ostacolo al contemporaneo esercizio della professione forense, purché l’interessato si mantenga nei limiti imposti dalla legge e dalla giurisprudenza: vale a dire, finché l’attività di commercio non superi in modo significativo quella di coltivazione, di tal ché sia messa a repentaglio l’indipendenza dell’avvocato (che è bene effettivamente oggetto di tutela da parte dell’ordinamento forense), per il suo entrare nelle dinamiche della concorrenza tra imprenditori commerciali. Resta, naturalmente, nei compiti e nei poteri del Consiglio dell’Ordine competente, svolta l’istruttoria del caso, giungere ad una determinazione sulla compatibilità dell’iscrizione nel singolo caso”.
Concludendo.
L’art. 6 del c.d.f., genericamente, afferma l’obbligo degli iscritti all’albo di evitare attività incompatibili con l’iscrizione medesima, aggiungendo al co. 2 che le attività non possono compromettere il dovere di indipendenza, quello della dignità e del decoro della professione.
L’art. 18 della L. 31.12.12 n. 247 indica in maniera più stringente le attività incompatibili con la professione forense, in particolare stabilendo alla lettera c) che l’avvocato è incompatibile con la qualità di socio illimitatamente responsabile o di amministratore di società di persone, aventi quale finalità l’esercizio di attività di impresa commerciale, in qualunque forma costituite, nonché con la qualità di amministratore unico o consigliere delegato di società di capitali, anche in forma cooperativa, nonché con la qualità di presidente di consiglio di amministrazione con poteri individuali di gestione. L’incompatibilità non sussiste se l’oggetto della attività della società è limitato esclusivamente all’amministrazione di beni, personali o familiari, nonché per gli enti e consorzi pubblici e per le società a capitale interamente pubblico.
Da quanto sopra, si evince quindi che l’avvocato può assumere la qualità di socio illimitatamente responsabile o assumere la carica di amministratore unico di società che si limitino all’amministrazione di beni personali o familiari.
Queste norme, insieme all’art. 21 della L. 31.12.12 n. 247, vanno lette unitamente agli artt. 2083 e 2135 del Codice Civile.
L’art. 2135 c.c. distingue nettamente l’impresa agricola da quella commerciale, indica quali siano da intendere le attività agricole e definisce la figura dell’imprenditore agricolo. Infine sottolinea che, ai fini della qualifica, resta del tutto indifferente la destinazione finale della produzione qualora ci sia una netta prevalenza della cura e della coltivazione del fondo rispetto all’eventuale vendita della stessa. Pertanto, l’essere imprenditore agricolo di per sé non risulta, in astratto, incompatibile con l’esercizio della professione forense che deve comunque rimanere effettivo, continuato, abituale e prevalente rispetto ad ogni altra attività posta in essere, come previsto dall’art. 21 della L. 31.12.12 n. 247.
Infine, l’incompatibilità non sussiste per il piccolo imprenditore agricolo di cui all’art. 2083 c.c., ovvero per colui che, per mezzo del lavoro proprio o di quello dei propri congiunti, coltiva il fondo di sua proprietà, eventualmente cedendo i frutti a terzi, purché l’interessato si mantenga nei limiti imposti dalla legge e dalla giurisprudenza a questa figura, ossia finché l’attività di commercio non superi in modo significativo quella di coltivazione, sì da mettere a repentaglio l’indipendenza dell’avvocato inserendolo nelle dinamiche della concorrenza tra imprenditori.
Ciò detto, corre tuttavia l’obbligo di precisare che:
– fatti salvi i compiti e i poteri del Consiglio dell’Ordine, tramite apposita Commissione, di verifica della compatibilità dell’iscrizione caso per caso, con la nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense “il potere disciplinare appartiene ai consigli distrettuali di disciplina forense” e dunque non rientra più tra i compiti e le prerogative del Consiglio dell’Ordine.
Ne consegue che i pareri in materia deontologica che gli iscritti richiedono al Consiglio dell’Ordine vengono da questo rilasciati in termini generali e non assumono né possono assumere, in eventuali procedimenti disciplinari, alcuna funzione orientativa né tantomeno vincolante del giudizio del Consiglio Distrettuale di Disciplina né rilevare quali esimente dell’iscritto sotto il profilo soggettivo.
Pertanto è possibile che il Consiglio Distrettuale di Disciplina, nella sua autonoma valutazione di comportamenti concretamente tenuti, possa pervenire a conclusioni diverse da quelle fatte proprie dal Consiglio.