Direttore Responsabile:

Susanna Della Felice

Coordinatore di Redazione:

Lapo Mariani

parere

Avvocato: compatibilità tra la professione di avvocato e attività inerenti alla qualifica di consigliere di A.S.D.. Eventuale trasformazione in S.S.D.R.L.

E’ stato chiesto da un avvocato facente parte del Consiglio Direttivo di un’A.S.D. ( società sportiva dilettantistica) se:

1- qualora l’associazione volesse evadere richiesta di mutuo per effettuare una ristrutturazione, appurato che detta richiesta comporterebbe l’assenso unanime dei consiglieri, possa il legale, stipulare tale obbligazione o sia costretto ad astenersi dalla votazione o a dimettersi:

2- nel caso in cui l’A.S.D. volesse trasformare la sua forma in società a responsabilità limitata, nella specie una S.S. D.R.L., l’avvocato possa rimanere nel Consiglio Direttivo.

Occorre premettere che le circostanze esposte nella richiesta di parere non possono essere verificate direttamente dal Consiglio dell’Ordine tra le cui prerogative non rientra quella di compiere indagini di fatto e di diritto sulle questioni sottoposte dagli iscritti.

Il Consiglio può pertanto esaminare le questioni prospettate solo in termini generali indicando le disposizioni della nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense che vengono in rilievo nella fattispecie.

Le ipotesi di incompatibilità della professione di avvocato sono contenute nell’art. 18 della L.247/2012 ed hanno carattere tassativo.

Tale disposizione prevede , per quanto qui interessa, che la professione di avvocato è incompatibile “con l’esercizio di qualsiasi attività di impresa commerciale svolta in nome proprio o in nome o per conto altrui” (art. 18, lett. b) nonché “con la qualità di socio illimitatamente responsabile o di amministratore di società di persone, aventi quali finalità l’esercizio di attività di impresa commerciale, in qualunque forma costituite, nonché con la qualità di amministratore unico o consigliere delegato di società di capitali, anche in forma cooperativa, nonché con la qualità di presidente di consiglio di amministrazione con poteri individuali di gestione. L’incompatibilità non sussiste se l’oggetto dell’attività è limitato esclusivamente all’amministrazione di beni, personali o familiari, nonché per gli enti e consorzi pubblici e per le società a capitale interamente pubblico” (art. 18 lett. c).

1. In base alle predette disposizioni si trova pertanto in una situazione di incompatibilità l’avvocato che eserciti qualsiasi attività di impresa commerciale ovvero che ricopra la carica di amministratore unico, di amministratore delegato o di presidente del consiglio di amministrazione con poteri individuali di gestione di una società che esercita attività commerciale e che per tale funzione disponga di poteri effettivi di gestione.

In tal senso ha avuto modo di pronunciarsi la Suprema Corte, secondo la quale la nuova disposizione di cui all’art. 18 della L. 247/2012 “ha dettato una nuova disciplina dell’incompatibilità della professione di avvocato con l’attività d’impresa. La disposizione prevede ora, per quel che in questa sede interessa, che la professione di avvocato è incompatibile con la qualità di presidente di consiglio di amministrazione con poteri individuali di gestione di società capitalistiche.” Essa “recepisce sostanzialmente un principio che era stato già enunciato e applicato dalle sezioni unite di questa corte in sede d’interpretazione del R.D. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 3” (….) “nella parte in cui dichiarava la professione di avvocato incompatibile con l’esercizio del commercio in nome altrui. Era infatti principio già consolidato che il legale il quale ricopra la qualità di presidente del consiglio di amministrazione o di amministratore delegato o unico di una società commerciale si trova, ai sensi del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 3, comma 1, n. 1, in una situazione d’incompatibilità con l’esercizio della professione forense (esercizio del commercio in nome altrui), qualora risulti che tale carica comporti effettivi poteri di gestione o di rappresentanza, e a prescindere da ogni indagine sulla consistenza patrimoniale della società medesima e sulla sua conseguente esposizione a procedure concorsuali (giurisprudenza costante delle sezioni unite di questa corte, da Cass. Sez. un. 24 marzo 1977, n. 1143, alle più recenti 5 gennaio 2007 n. 37, e 28 febbraio 2011 n. 4773”)”( Cass. Civ. Sezioni Unite 18.11.2013 n.25797).

In termini analoghi, nel vigore della disciplina previgente, si è più volte espresso il CNF secondo cui “il legale che ricopre il ruolo di presidente del consiglio di amministrazione o di amministratore delegato o unico di una società commerciale si trova in una situazione di incompatibilità con l’esercizio della professione forense laddove tale carica comporta effettivi poteri di gestione o di rappresentanza; l’incompatibilità, non ricorre, invece, quando il professionista, anche se presidente del consiglio di amministrazione, viene privato, per statuto sociale o per successiva deliberazione, dei poteri di gestione dell’attività commerciale” (sentenza CNF 25 novembre 2014, n. 172); “E’ incompatibile con l’esercizio della professione forense e deve essere cancellato l’avvocato presidente di una s.p.a., se pur municipalizzata, che vanti poteri effettivi di gestione ordinaria e straordinaria. La carica di presidente del consiglio di amministrazione o di amministratore di una società commerciale è, infatti, compatibile con l’esercizio della professione forense e l’iscrizione all’albo, solo nella ipotesi in cui tale funzione comporti compiti meramente amministrativi e rappresentativi.” (sentenza CNF 20 febbraio 2012, n. 15 ; in senso analogo parere CNF 23.7.2009 n. 33).

2. In base all’art 18 L.247/2012 ed ad agli orientamenti sopra richiamati si può affermare che nel caso in cui si sia in presenza di una associazione o ente che non hanno scopo di lucro e che non svolgono attività di impresa commerciale, l’assunzione della carica di componente del relativo Comitato direttivo non può configurare una situazione di incompatibilità con l’esercizio della professione forense perché non rientra nelle ipotesi previste dal predetto art. 18 che sono tassative e di stretta interpretazione.

In tal senso si è espresso anche il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Firenze (con pareri resi in data 24.4.2013 e in data 7.1.2014) secondo cui “dal carattere di tassatività delle ipotesi di incompatibilità enunciate dalla disciplina richiamata, consegue che un avvocato può assumere la carica di componente del Comitato Direttivo di un’associazione senza scopo di lucro, non configurandosi situazioni di incompatibilità con l’esercizio della professione forense”.

Analogamente il CNF ha avuto modo di ritenere “l’API è, peraltro, un’associazione con finalità lato sensu sindacali e comunque di tutela delle piccole medie imprese che ne fanno parte. Essa non può in ogni caso qualificarsi società commerciale non rientrando tra le sue attribuzioni lo svolgimento del commercio o dell’industria. La partecipazione al consiglio di amministrazione non comporta, per conseguenza, esercizio del commercio, neppure in via indiretta, occulta o per conto terzi” (sentenza n. 48 del 2.3.2012).

3. E’ in base alle coordinate normative e giurisprudenziali sopra riportate che devono trovare risposta i quesiti di cui alla richiesta di parere.

Quanto al quesito sub 1) il Consiglio dell’Ordine non dispone dello Statuto della A.S.D: tuttavia se si tratta di un’associazione con finalità esclusivamente sportive, che non ha scopo di lucro e non svolge alcuna attività commerciale si ritiene che in capo all’avvocato che sia componente del Comitato direttivo non sussistano le ipotesi di incompatibilità di cui all’art. 18 L. 247/2012, né può , in conseguenza , ritenersi precluso al medesimo di partecipare alle delibere del predetto Comitato.

Quanto al quesito sub 2) non sono indicate le caratteristiche delle operazioni di trasformazione dell’ “A.S.D” in “S.S.D.R.L” : tuttavia si può affermare , in termini del tutto generali, che le conclusioni sono le stesse di cui al quesito sub 1) se la predetta trasformazione comporti la costituzione di una società che (come sembrerebbe consentito dall’ art.90 L. 289/2002) mantenga la sola finalità sportiva , abbia ad oggetto sociale solo l’organizzazione di attività sportive dilettantistiche (compresa eventualmente l’attività didattica), non abbia fini di lucro e non svolga alcuna attività commerciale.

Occorre rilevare che la valutazione della fattispecie concreta debba essere fatta dall’avvocato stesso, attraverso l’esame di tutte le circostanze di fatto e di diritto che ricorrono nel caso specifico (Statuto dell’A.S.D , attività in concreto svolte , tipologia della operazione di trasformazione societaria ecc.).

 

È stato richiesto al Consiglio un parere sulla conformità o meno alle regole deontologiche del comportamento tenuto da un avvocato che, nel corso di un procedimento di negoziazione assistita ex D.L. 132 del 2014, dopo aver aderito per conto del cliente alla negoziazione dava inizio al procedimento con un incontro con le parti e il legale della controparte. Tuttavia, non essendo stata sottoscritta in quella sede la convenzione di negoziazione assistita, l’avvocato che aveva aderito ometteva di rispondere ai successivi inviti di controparte a perfezionare l’accordo.

Ai fini della soluzione del quesito occorre premettere che il procedimento di mediazione previsto dal D.L. 132 del 2014 è ispirato, ex art. 2/1, alla cooperazione secondo buona fede e lealtà. Questi obblighi di comportamento riguardano certamente anche gli avvocati che assistono le parti, trattandosi in pratica di esplicazioni del più vasto principio di lealtà previsto nel Codice Deontologico Forense, in generale, dall’art. 9 e poi, in particolare, verso i colleghi dall’art. 19.

Il dovere di lealtà e correttezza, quindi, non è limitato alla sola attività di assistenza o difesa in giudizio, ma si riferisce all’intera attività professionale (C.N.F. 15.3.2013 n. 38).

Inoltre, gli atteggiamenti dilatori, sempre espressione della violazione del principio di lealtà e buona fede, sono sanzionati se comportano il mancato rispetto dei termini processuali ex art. 59.

Detto questo, in via generale si osserva come sia contrario a tali doveri il comportamento dell’avvocato che, strumentalmente, eviti di rispondere al collega nella procedura di negoziazione assistita cercando di utilizzare per procrastinare il più possibile l’inizio della controversia da parte della controparte, essendo maturata la condizione di procedibilità.