1. Quesito
È stato richiesto al Consiglio di rispondere al seguente quesito deontologico.
Trattasi di un procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo che l’avvocato ha ottenuto in favore di un collega per il mancato pagamento dei compensi professionali; al fine di provare la congruità degli stessi, si chiede se è consentito produrre la corrispondenza (compresa quella «riservata personale – non producibile in giudizio») che l’avvocato, creditore opposto, aveva scambiato con i colleghi nell’ espletamento delle pratiche in favore del suo ex cliente, ora debitore opponente.
2. Risposta al quesito
Il canone deontologico previsto dall’art. 48 del Codice deontologico forense (“c.d.f.”), rubricato “Divieto di produrre la corrispondenza scambiata con il collega”, prevede al primo comma che l’avvocato non possa produrre in giudizio la corrispondenza intercorsa esclusivamente tra colleghi qualora sia qualificata come riservata, nonché quella contenente proposte transattive e le relative risposte.
Il secondo comma dell’art 48 prevede due deroghe al divieto contenuto nel primo comma. L’avvocato può infatti produrre la corrispondenza intercorsa con i colleghi qualora la stessa
a) costituisca perfezionamento e prova di un accordo
b) assicuri l’adempimento delle prestazioni richieste.
La violazione del divieto di produzione disciplinato dall’art. 48 c.d.f. comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della censura.
La ratio della norma deontologica è dettata a salvaguardia del corretto svolgimento dell’attività professionale e, salve le eccezioni previste espressamente, prevale persino sul dovere di difesa[1].
Sulla ratio della norma il CNF si è, in più occasioni, così espresso: “la norma deontologica di cui all’art. 48 cdf (già art. 28 codice previgente) è stata dettata a salvaguardia del corretto svolgimento dell’attività professionale, con il fine di non consentire che leali rapporti tra colleghi potessero dar luogo a conseguenze negative nello svolgimento della funzione defensionale, specie allorché le comunicazioni ovvero le missive contengano ammissioni o consapevolezze di torti ovvero proposte transattive. Ciò al fine di evitare la mortificazione dei principi di collaborazione che per contro sono alla base dell’attività legale. Di tal chè il divieto di produrre in giudizio la corrispondenza tra i professionisti contenente proposte transattive assume la valenza di un principio invalicabile di affidabilità e lealtà nei rapporti interprofessionali, quali che siano gli effetti processuali della produzione vietata, in quanto la norma mira a tutelare la riservatezza del mittente e la credibilità del destinatario, nel senso che il primo, quando scrive ad un collega di un proposito transattivo, non deve essere condizionato dal timore che il contenuto del documento possa essere valutato in giudizio contro le ragioni del suo cliente; mentre, il secondo, deve essere portatore di un indispensabile bagaglio di credibilità e lealtà che rappresenta la base del patrimonio di ogni avvocato. La norma, peraltro, non è posta ad esclusiva tutela del legale emittente, ma anche all’attuazione della sostanziale difesa dei clienti che, attraverso la leale coltivazione di ipotesi transattive, possono realizzare una rapida e serena composizione della controversia” (così, per tutti, la sentenza CNF n. 252 del 14.11.2023).
È evidente, pertanto, che la norma mira a proteggere la riservatezza delle negoziazioni che gli avvocati svolgono nell’interesse dei loro clienti.
Con riferimento alla possibilità per l’avvocato di produrre la corrispondenza scambiata con il collega di controparte per scopi diversi dalla difesa in giudizio del proprio cliente, il CNF si è così espresso: “L’art. 48 del Codice deontologico, non a caso collocato nel Titolo IV (relativo ai doveri dell’avvocato nel processo), disciplina l’utilizzo in giudizio della corrispondenza tra colleghi. Ivi sono enunciate, in via generale, le ipotesi di producibilità e quelle di non producibilità; i divieti e le relative deroghe, peraltro, sono destinati a valere – per espressa previsione della norma – anche nei confronti del nuovo difensore(cfr. il comma 3).
Non sussiste alcuna possibilità di estendere la deroga di cui all’art. 48, comma 2 ad ipotesi diverse da quella ivi contemplata: significativo, a tale riguardo, l’uso del verbo “produrre”, che ha l’evidente fine di circoscrivere l’operatività della deroga.
La producibilità e la non producibilità della corrispondenza sono dunque circoscritte alla controversia giudiziale o stragiudiziale che veda contrapposte due parti difese dai colleghi tra i quali, in ragione del ministero difensivo, sia intercorsa la corrispondenza.
Diversamente è a dirsi per il caso nel quale il contenzioso sia sorto tra l’avvocato ed il cliente (o la parte assistita) in relazione alle modalità di svolgimento del mandato, le dimensioni dello stesso o l’ammontare del compenso. In tale eventualità, ben diversa da quella contemplata dall’art. 48 CD, deve ritenersi pienamente operante l’art. 28, comma 4, lett. c) del medesimo codice, a mente del quale è consentito all’avvocato derogare ai doveri di riserbo e segretezza «per allegare circostanze di fatto in una controversia tra avvocato e cliente o parte assistita»” (Così il CNF nel parere n. 54 del 20 ottobre 2019).
La ratio della norma esclude, cioè, che il divieto di produrre corrispondenza riservata fra colleghi possa estendersi alla produzione della medesima corrispondenza da parte dell’avvocato per dimostrare la correttezza e l’entità dell’opera prestata, ciò vale in particolare nel caso in cui fra l’avvocato e il suo cliente sia pendente controversia in merito al pagamento del compenso da parte di quest’ultimo.
Ci corre infine l’obbligo di precisare che:
– con la nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense “il potere disciplinare appartiene ai consigli distrettuali di disciplina forense” e dunque non rientra più tra i compiti e le prerogative del Consiglio dell’Ordine;
– ne consegue che i pareri in materia deontologica che gli iscritti richiedono al Consiglio dell’Ordine vengono da questo rilasciati in termini generali e non assumono né possono assumere, in eventuali procedimenti disciplinari, alcuna funzione orientativa né tantomeno vincolante del giudizio del Consiglio Distrettuale di Disciplina né rilevare quali esimente dell’iscritto sotto il profilo soggettivo;
– pertanto, è possibile che il Consiglio Distrettuale di Disciplina, nella sua autonoma valutazione di comportamenti concretamente tenuti, possa pervenire a conclusioni diverse da quelle fatte proprie dal Consiglio.
NOTE:
[1] «La riservatezza della corrispondenza tra Colleghi, che tutela in definitiva la libertà del Difensore nella conduzione della lite, costituisce un canone essenziale che prevale, peraltro, salve le eccezioni previste espressamente, persino sul dovere di difesa» (cfr., per tutti, C.N.F., sent. 110/2018; 99/2018; 194/2017)