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parere

Avvocato. Dichiarazione di cui al comma 5 dell’art. 9 della L. 488/99 e determinazione del giusto ammontare professionale.

E’ stato chiesto se la dichiarazione di cui al comma 5 dell’art. 9 della L. 488/99 assolva unicamente al fine fiscale oppure costituisca un parametro o uno dei parametri per l’individuazione reale e venale del valore della controversia sul quale devono essere applicati i vigenti tariffari per la redazione della notula; in altri termini, se tale dichiarazione abbia una qualche valenza confessoria oppure se rimanga del tutto svincolata in merito alla determinazione del giusto ammontare professionale.
Il Consiglio dell’Ordine ha precisato che le disposizioni in materia di contributo unificato di cui agli articoli 9 e seguenti del D.P.R. 30 Maggio 2002 n. 115, per il loro contenuto e per la loro funzione sostitutiva dell’imposta di bollo, hanno una valenza meramente fiscale (cfr. su detta natura fiscale del contributo unificato Sent. Cass. Civ., Sez. II. 12 Aprile 2006, n. 8555) e la relativa dichiarazione effettuata dal difensore non determina alcuna presunzione o preclusione, tant’è vero che è soggetta a verifica ed a eventuale richiesta di integrazione da parte del funzionario di cancelleria.
Al riguardo la Suprema Corte ha già avuto occasione di affermare che, poiché la relativa dichiarazione è indirizzata esclusivamente al funzionario di cancelleria, cui compete il relativo controllo, in funzione della determinazione del contributo, è esclusa ogni possibile partecipazione di tale dichiarazione di valore alle conclusioni della citazione e quindi alla possibilità di considerare la dichiarazione come parte della domanda e questo anche ai fini della determinazione del valore della causa (cfr. Sent. Cass. Civ., Sez. III, 13 Luglio 2007, n. 15714).
E’ noto che, ai fini della liquidazione dei diritti e degli onorari dell’Avvocato, il valore della controversia si determina sulla base della domanda e delle relative disposizioni del Codice di Procedura Civile, per cui il fatto che la dichiarazione di valore non possa considerarsi quale parte integrante della domanda e non possa avere alcuna rilevanza ai fini dell’accertamento del valore secondo i criteri stabiliti dal Codice di Procedura Civile comporta anche che detta dichiarazione non abbia alcuna rilevanza ai relazione all’individuazione del valore e non possa costituire un paramento per procedere a tale individuazione in funzione della suddetta liquidazione dei diritti e degli onorari.
D’altronde, trattandosi, comunque, di un contributo dovuto dalla parte sarebbe problematico attribuire natura “confessoria” ad una dichiarazione che nella gran parte dei casi viene effettuata dal difensore e che, comunque, involge valutazioni di diritto, dato che la determinazione del valore, a norma dell’articolo 14 del succitato D.P.R. n. 115/2002, deve essere effettuata ai sensi del Codice di Procedura Civile e, dunque, mediante l’interpretazione e l’applicazione di disposizioni normative, le quali, tra l’altro, in alcuni casi risultano anche non univoche;
Ciò non toglie, ovviamente, che, qualora l’Avvocato dichiari il valore della controversia in misura palesemente insufficiente e notevolmente difforme rispetto al valore reale della controversia stessa al fine consapevole di far corrispondere al proprio assistito un contributo inferiore a quello effettivamente dovuto, un simile comportamento possa integrare un illecito deontologico per l’inosservanza del generale principio di correttezza.