Direttore Responsabile:

Susanna Della Felice

Coordinatore di Redazione:

Lapo Mariani

parere

Avvocato. Esercizio della professione e gestione di attività di impresa.

E' stato chiesto se un professionista in qualità di erede unica dell’impresa individuale paterna, la cui attività è quella di gestire un’enoteca, possa esercitare in via provvisoria e nell’anno successivo all’apertura della successione tale attività con carattere di residualità rispetto alla principale professione forense, nei giorni non concomitanti con impegni professionali, ovvero nel fine settimana, senza violare il proprio dovere deontologico e nell’attesa di valutare una nuova scelta gestionale.
Il quesito attiene all’ambito delle incompatibilità all’esercizio professionale, delineato dall’art. 18 della Legge 31 dicembre 2012 n. 247 recante la riforma dell’ordinamento forense. Tale disposizione connette l’incompatibilità a determinate posizioni giuridico-soggettive del professionista, connesse ad attività continuative o professionali di lavoro autonomo o subordinato, nonché all’esercizio di impresa commerciale in nome proprio o in nome e per conto altrui. L’unica causa di esclusione della predetta incompatibilità è prevista nella stessa norma con riferimento alle società il cui oggetto è limitato esclusivamente all’amministrazione di beni personali, o familiari, nonché per gli enti e consorzi pubblici e per le società a capitale interamente pubblico. In via di principio generale i precetti legislativi, che direttamente incidono, come quelli in tema di incompatibilità, sul diritto a svolgere una determinata attività, costituiscono norme di stretta interpretazione e non sono suscettibili di estensione analogica. Il Consiglio Nazionale Forense, con il parere 20 febbraio 2013, n. 20, ha esaminato la compatibilità dell’attività professionale forense con il ruolo di familiare collaboratore nell’ambito dell’impresa familiare. Al riguardo è stato ritenuto che l’impresa familiare è istituto giuridico afferente l’organizzazione patrimoniale della famiglia, il quale assume i connotati dell’impresa individuale, con conseguente attribuzione all’imprenditore delle funzioni gestorie e degli oneri ed obblighi connessi all’esercizio dell’attività d’impresa, mentre il collaboratore ha semplicemente diritto al mantenimento ed alla partecipazione all’eventuale utile rinveniente dall’impresa, non essendo contemplata alcuna altra forma di retribuzione della sua opera. Conseguentemente, non essendo prevista in capo al familiare collaboratore una compartecipazione all’attività di gestione, è stata esclusa l’ipotesi di responsabilità e, pertanto, è stato ritenuto che non si configura incompatibilità tra l’iscrizione all’albo forense e la prestazione di attività inerenti al funzionamento dell’impresa familiare. In conformità con quanto affermato dal Consiglio Nazionale Forense nel parere richiamato, il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Firenze ritiene che si configuri incompatibilità tra l’iscrizione all’albo forense e la prestazione di attività di lavoro autonomo nelle forme dell’impresa
individuale, ancorché svolta secondo le modalità indicate nel quesito esaminato, non ricorrendo in tal caso l’ipotesi di esclusione prevista dall’art.18 della legge professionale forense.