Direttore Responsabile:

Susanna Della Felice

Coordinatore di Redazione:

Lapo Mariani

parere

Avvocato. Esercizio della professione in luoghi non tradizionali.

Tenendo conto dell’evoluzione interpretativa che ha subito il fenomeno dei luoghi di esercizio della professione forense, il Consiglio ritiene opportuno richiamare la recente decisione del Consiglio Nazionale Forense, depositata il 15 marzo 2013, espressa sulla materia in esame, in cui si osserva che l’esercizio dell’attività professionale forense non può censurarsi per il suo svolgimento in un luogo diverso dalla tradizione, pur essendo, tuttavia, necessario, considerare specificamente le modalità con cui tale attività si esplica.
Invero, il Codice Deontologico Forense, a seguito dell’entrata in vigore della normativa nota come “legge Bersani”, consente non una pubblicità indiscriminata, ma la diffusione di specifiche informazioni sull’attività, al fine di orientare razionalmente le scelte di colui che ricerchi assistenza, nella libertà di fissazione del compenso e della modalità del suo calcolo.
In diverse occasioni il Consiglio Nazionale Forense ha ribadito come i principi in tema di pubblicità di cui alla legge 248/2006, pur consentendo al professionista di fornire specifiche informazioni sull’attività e i servizi professionali offerti, non legittimano, tuttavia, una pubblicità indiscriminata avulsa dai dettami deontologici. Invero, “la peculiarità e la specificità della professione forense, in virtù della sua funzione sociale, impongono tuttavia, conformemente alla normativa comunitaria e alla costante sua interpretazione da parte della Corte di Giustizia, le limitazioni connesse alla dignità ed al decoro della professione, la cui verifica è dall’ordinamento affidata al potere – dovere dell’ordine professionale” (C.N.F. n. 183/09).
In particolare, il C.N.F. con la recente sentenza depositata il 15 marzo 2013 ha ritenuto, nello specifico, che non fosse garantita la riservatezza del cliente che vi accedeva, in quanto non vi era la prova inconfutabile che la vetrina fosse sempre schermata da una tenda a scatto, finalizzata ad evitare la vista all’interno.
Inoltre, il colloquio del professionista poteva essere interrotto in ogni momento da potenziali clienti, il cui ingresso al locale veniva consentito dalla porta con semplice apertura a scatto, senza citofono.
Nel caso di specie, inoltre, l’elencazione delle materie affisse nella vetrina nonchè la pubblicità effettuata col mezzo della stampa aveva fatto assumere i connotati della pubblicità commerciale, volta a persuadere il possibile cliente, ad esempio attraverso l’imposizione di un costo molto basso.
Al riguardo, occorre, invece, tener presente che la sentenza n. 23287/10 delle SSUU della Corte di Cassazione aveva affermato che: “mentre è da ritenere legittima la pubblicità informativa dell’attività professionale finalizzata all’acquisizione della clientela, la medesima è sanzionabile disciplinarmente – ai sensi dell’art. 38 del r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, e degli artt. 17 e 17 bis del codice deontologico forense – ove venga svolta con modalità lesive del decoro e della dignità della professione”.
Pertanto, qualora venissero offerti servizi professionali a costi molto bassi sarebbe leso il decoro della professione legale, dovendo parametrarsi l’adeguatezza del compenso al valore ed all’importanza della singola pratica trattata, senza poter determinare forfettariamente senza alcuna proporzione l’attività svolta.
Tale quadro di riferimento appare compatibile, peraltro, anche alla luce dell’entrata in vigore della recente legge sull’ordinamento professionale, ancorché la richiamata decisione del CNF sia stata adottata nel dicembre 2012, ovvero prima dell’entrata in vigore della predetta legge.
Resta, in ogni caso, inalterato il potere di verifica delle modalità di esercizio dell’attività professionale in relazione al caso specifico, al fine di valutare il rispetto dei principi richiamati.