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parere

Avvocato: facoltà e obbligo di astenersi dal rendere testimonianza

Fatto e quesito

E’ stato chiesto a questo Consiglio un parere sulla seguente questione.

Un avvocato viene citato come testimone nell’ambito di un giudizio civile, promosso da un Condominio nei confronti di un ex amministratore dello stesso.

L’avvocato è a conoscenza delle vicende relative a detto Condominio sia in virtù del mandato ricevuto da uno dei condòmini partecipi di tale Condominio, sia in quanto ha presenziato, per delega del suo cliente, alle assemblee dello stesso (animato da vari contenziosi, successivamente superati e conciliati, con conclusione dei mandati difensivi).

L’avvocato si pone il problema circa la possibilità di rendere la testimonianza che viene richiesta, probabilmente su circostanze che potrebbero essere nell’interesse del Condominio (la cui difesa lo ha citato) ed, in definitiva, del suo assistito.

 Risposta al quesito

1. Nella fattispecie sottoposta all’esame di questo Consiglio viene in rilievo il canone deontologico previsto dall’art. 51 del Codice Deontologico Forense (c.d.f.), rubricato “La testimonianza dell’avvocato”.

L’articolo in commento prevede che:

“1. L’avvocato deve astenersi, salvo casi eccezionali, dal deporre, come persona informata sui fatti o come testimone, su circostanze apprese nell’esercizio della propria attività professionale e ad essa inerenti.

2. L’avvocato deve comunque astenersi dal deporre sul contenuto di quanto appreso nel corso di colloqui riservati con colleghi nonché sul contenuto della corrispondenza riservata intercorsa con questi ultimi.

3. Qualora l’avvocato intenda presentarsi come testimone o persona informata sui fatti non deve assumere il mandato e, se lo ha assunto, deve rinunciarvi e non può riassumerlo.

4. La violazione dei doveri di cui ai precedenti commi comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della censura.”

L’art. 51 c.d.f. deve essere letto in connessione con l’art. 28 c.d.f., che prevede l’obbligo del segreto professionale:

1. E’ dovere, oltre che diritto, primario e fondamentale dell’avvocato mantenere il segreto e il massimo riserbo sull’attività prestata e su tutte le informazioni che gli siano fornite dal cliente e dalla parte assistita, nonché su quelle delle quali sia venuto a conoscenza in dipendenza del mandato.

2. L’obbligo del segreto va osservato anche quando il mandato sia stato adempiuto, comunque concluso, rinunciato o non accettato.

3. L’avvocato deve adoperarsi affinchè il rispetto del segreto professionale e del massimo riserbo sia osservato anche da dipendenti, praticanti, consulenti e collaboratori, anche occasionali, in relazione a fatti e circostanze apprese nella loro qualità o per effetto dell’attività svolta.

4. E’ consentito all’avvocato derogare ai doveri di cui sopra qualora la divulgazione di quanto appreso sia necessaria:

a) per lo svolgimento dell’attività di difesa;

b) per impedire la commissione di un reato di particolare gravità;

c) per allegare circostanze di fatto in una controversia tra avvocato e cliente o parte assistita;

d) nell’ambito di una procedura disciplinare.

In ogni caso la divulgazione dovrà essere limitata a quanto strettamente necessario per il fine tutelato.

5. La violazione dei doveri di cui ai commi precedenti comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della censura e, nei casi in cui la violazione attenga al segreto professionale, l’applicazione della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da uno a tre anni.”

L’interpretazione delle due norme deve dunque dar luogo a un sistema coerente, all’interno del quale l’obbligo del segreto professionale non possa essere vanificato dall’obbligo di testimoniare su quanto appreso dall’avvocato nello svolgimento del proprio mandato.

2.  L’art. 51 c.d.f. prevede l’obbligo generale di astenersi dal deporre sia come persona informata sui fatti, che come testimone, salvo casi eccezionali, su fatti appresi nell’esercizio dell’attività professionale.

La ratio della norma “si fonda sulla necessità di garantire che, attraverso la testimonianza, il difensore non venga meno ai canoni di riservatezza, lealtà e probità cui è tenuto nell’attività di difesa, rendendo pubblici fatti e circostanze apprese a causa della sua funzione e coperte dal segreto professionale”. (CNF 8.10.2013 n. 172).

Qualora l’avvocato decida di testimoniare, sulla scorta del comma 3 dell’art. 51 del c.d.f., non potrà assumere il mandato e, se già assunto, dovrà rinunciarvi. Tale obbligo riguarda solo l’incarico cui attiene la testimonianza e non altri mandati eventualmente conferiti all’avvocato dal medesimo cliente e che sono estranei alla vicenda oggetto di deposizione[1]

La testimonianza deve quindi essere successiva alla conclusione del mandato professionale e deve riguardare circostanze estranee allo stesso[2]

La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che l’obbligo di astensione dipende dall’esistenza di un mandato professionale con l’avvocato, specificando ulteriormente che: “quest’ultimo debba astenersi dal deporre come testimone su circostanze che siano state apprese nell’esercizio della propria attività e siano inerenti al mandato ricevuto”[3]

Il CNF ha poi precisato che “il segreto professionale costituisce al tempo stesso l’oggetto di un dovere giuridico dell’avvocato, la cui violazione è sanzionata penalmente (622 c.p.) e l’oggetto di un diritto dello stesso avvocato, che non può essere obbligato a deporre su quanto ha conosciuto per ragione del proprio ministero. Accanto a questo dovere e a questo diritto vi è però un ulteriore diritto del cliente a che il legale si attenga al segreto professionale e non sveli notizie apprese nel corso del mandato professionale. E tale diritto assume i connotati di un diritto fondamentale, quello di difesa, perché senza tale garanzia il diritto di difesa ne risulterebbe indebitamente e gravemente diminuito”[4]

In virtù di quella che ha ritenuto essere la ratio della norma contenuta nell’art 51 del c.d.f. il CNF ha tuttavia anche chiarito che “il dovere di riservatezza dell’avvocato è posto esclusivamente a tutela della sfera privata del cliente o parte assistita e non anche di quella della controparte” (C.N.F. sentenza del 10 giugno 2014, n. 84).

Si può dunque sostenere che la ratio del divieto di testimonianza dell’avvocato posto dall’art. 51 c.d.f. riguardi  la necessità di garantire l’integrità e l’effettività del diritto di difesa della parte assistita dal professionista, nonché l’inopportunità di agire nello stesso giudizio in qualità di difensore e testimone. Non è oggetto di tutela il diritto alla riservatezza o alla difesa della controparte della parte assistita.

Nel caso di specie la narrativa dei fatti fa presumere che l’avvocato venga chiamato a deporre su fatti che riguardano un terzo soggetto diverso da quello che ha conferito a lui il mandato professionale relativo a cause ormai definite.

3. Si deve comunque tenere presente che, ai sensi dell’art. 200 c.p.p. (richiamato dall’art. 249 c.p.c.), l’Avvocato ha facoltà di astenersi dal deporre come testimone “su quanto ha(nno) conosciuto per ragione del proprio ministero, ufficio o professione”. Ciò comporta per l’avvocato l’esclusione dell’obbligo di rendere testimonianza su tutto ciò che ha formato oggetto della sua conoscenza per ragione di un determinato incarico.

Ci corre infine l’obbligo di precisare che:

– con la nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense “il potere disciplinare appartiene ai consigli distrettuali di disciplina forense” e dunque non rientra più tra i compiti e le prerogative del Consiglio dell’Ordine;

– ne consegue che i pareri in materia deontologica che gli iscritti richiedono al Consiglio dell’Ordine vengono da questo rilasciati in termini generali e non assumono né possono assumere, in eventuali procedimenti disciplinari, alcuna funzione orientativa né tantomeno vincolante del giudizio del Consiglio Distrettuale di Disciplina né rilevare quali esimente dell’iscritto sotto il profilo soggettivo;

– pertanto, è possibile che il Consiglio Distrettuale di Disciplina, nella sua autonoma valutazione di comportamenti concretamente tenuti, possa pervenire a conclusioni diverse da quelle fatte proprie dal Consiglio.

 

NOTE:

[1] “L’obbligo per l’avvocato di rinunciare al mandato senza poterlo riassumere qualora intenda presentarsi come testimone (art. 58 cdf) non può che operare nello medesimo processo che vede l’avvocato svolgere l’ufficio di difensore, e si fonda sulla necessità di evitare la commistione dei ruoli stessi, cioè che l’avvocato si trovi contemporaneamente a rivestire la funzione di difensore e quella di testimone nel medesimo processo; nulla invece la norma dice, né può dire, in relazione all’eventuale testimonianza da rendersi in processo diverso da quello nel quale l’avvocato è difensore, non essendo in grado certamente di vietare in senso assoluto il diritto-dovere del cittadino comune, seppure avvocato, di rendere testimonianza e prevedendo il solo correttivo del potersi avvalere del vincolo del segreto professionale per sottrarvisi (Nel caso di specie, l’incolpato era stato sanzionato per aver testimoniato in un procedimento penale a favore di un proprio cliente, che assisteva in un diverso procedimento, peraltro di natura civile, senza rinunciare a tale mandato. In applicazione del principio di cui in massima, il CNF ha annullato la sanzione)”; così C.N.F., sentenza del 8 ottobre 2013, n. 172

[2] Cfr. Cassazione a Sezioni Unite n. 22253/2017.

[3] Cfr. Cassazione Penale, sez. VI. 02 aprile 2013, n. 15003.

[4] Cfr. parere n. 9 del 9 maggio 2007