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parere

Avvocato: il legale che abbia assistito congiuntamente coniugi o conviventi in controversie di natura familiare deve sempre astenersi dal prestare la propria assistenza in favore di uno di essi in controversie successive tra i medesimi

Sono stati formulati al Consiglio dell’Ordine due distinti quesiti relativi a fattispecie riferibili alla medesima disposizione normativa.

Primo quesito. Un avvocato ha assistito congiuntamente due coniugi in qualità di esercenti la responsabilità genitoriale sulla figlia minore in un procedimento dinanzi al Giudice Tutelare ai sensi dell’art. 320 c.c.. Ad oltre due anni dalla conclusione del rapporto professionale l’avvocato chiede se può assumere l’incarico contro una delle parti già assistite per ottenere lo scioglimento del matrimonio.

Secondo quesito. Un avvocato ha assistito congiuntamente due ex conviventi genitori di una bambina in una procedura innanzi al Tribunale dei Minori per la regolamentazione degli aspetti inerenti la responsabilità genitoriale condivisa. A circa dieci anni dalla conclusione del rapporto professionale la madre della bimba chiede al medesimo avvocato di essere assistita in un procedimento giudiziale per tutelare gli interessi della figlia nei confronti del padre. Viene pertanto richiesto se l’assunzione del nuovo incarico possa confliggere con le norme deontologiche.

In risposta ai suddetti quesiti si riporta di seguito un unico parere

2. Norme rilevanti. Viene in rilievo l’art. art. 68 “Assunzione di incarichi contro una parte già assistita” del Codice deontologico forense (c.d.f.).

Stabilisce l’art 68 del c.d.f. che:

“1. L’avvocato può assumere un incarico professionale contro una parte già assistita solo quando sia trascorso almeno un biennio dalla cessazione del rapporto professionale.

2. L’avvocato non deve assumere un incarico professionale contro una parte già assistita quando l’oggetto del nuovo incarico non sia estraneo a quello espletato in precedenza.

3. In ogni caso, è fatto divieto all’avvocato di utilizzare notizie acquisite in ragione del rapporto già esaurito.

4. L’avvocato che abbia assistito congiuntamente coniugi o conviventi in controversie di natura familiare deve sempre astenersi dal prestare la propria assistenza in favore di uno di essi in controversie successive tra i medesimi.

5. L’avvocato che abbia assistito il minore in controversie familiari deve sempre astenersi dal prestare la propria assistenza in favore di uno dei genitori in successive controversie aventi la medesima natura, e viceversa.

6. La violazione dei divieti di cui al comma 1 e 4 comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da due a sei mesi. La violazione dei doveri e divieti di cui ai commi 2, 3 e 5 comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da uno a tre anni.”

La norma è chiara e la giurisprudenza del CNF è costante e granitica nell’escludere la possibilità per l’avvocato che abbia assistito entrambi i coniugi o ex conviventi in controversie di natura familiare, di assistere nuovamente uno di loro contro l’altro in controversie successive, ciò indipendentemente dal periodo trascorso dall’ultima controversia.

Si veda, da ultimo, la sentenza del CNF n. 191 del 15 ottobre 2020  che ha stabilito che  “l’art. 68 cdf (già art. 51 codice previgente) vieta al professionista, che abbia congiuntamente assistito i coniugi o i conviventi more uxorio in controversie familiari, di assumere successivamente il mandato per la rappresentanza di uno di essi contro l’altro. Tale previsione costituisce una forma di tutela anticipata al mero pericolo derivante anche dalla sola teorica possibilità di conflitto d’interessi, non richiedendosi specificatamente l’utilizzo di conoscenze ottenute in ragione della precedente congiunta assistenza; pertanto, la norma de qua non richiede che si sia espletata attività defensionale o anche di rappresentanza, ma si limita a circoscrivere l’attività nella più ampia definizione di assistenza, per l’integrazione della quale non è richiesto lo svolgimento di attività di difesa e rappresentanza essendo sufficiente che il professionista abbia semplicemente svolto attività diretta a creare l’incontro delle volontà seppure su un unico punto degli accordi di separazione o divorzio”.

In relazione al primo quesito. Viene precisato che sebbene l’assistenza prestata a entrambi i genitori congiuntamente in occasione di un ricorso ex art. 320 c.c. possa non rientrare nella nozione di “controversia” in senso stretto, la giurisprudenza del CNF è chiara nel ritenere che qualunque attività di assistenza, anche di natura non defensionale, prestata dal professionista in favore dei componenti di un nucleo familiare (figli minori o coniugi anche nella loro qualità di genitori) sia suscettibile di  far nascere la “teorica possibilità di un conflitto di interessi” e quindi di far scattare il divieto di cui all’art. 68, comma IV, c.d.f.

3. Conclusioni. L’art. 68 del c.d.f. al punto 4) stabilisce che l’avvocato che abbia assistito congiuntamente coniugi o conviventi in controversie di natura familiare deve sempre astenersi dal prestare la propria assistenza in favore di uno di essi in controversie successive tra i medesimi, indipendentemente dalla natura dell’attività di assistenza prestata in concreto e dal tempo trascorso dall’assunzione dell’incarico.

Ciò detto circa il quesito, ci corre infine l’obbligo di precisare che:

– con la nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense “il potere disciplinare appartiene ai consigli distrettuali di disciplina forense” e dunque non rientra più tra i compiti e le prerogative del Consiglio dell’Ordine;

– ne consegue che i pareri in materia deontologica che gli iscritti richiedono al Consiglio dell’Ordine vengono da questo rilasciati in termini generali e non assumono né possono assumere, in eventuali procedimenti disciplinari, alcuna funzione orientativa né tantomeno vincolante del giudizio del Consiglio Distrettuale di Disciplina né rilevare quali esimente dell’iscritto sotto il profilo soggettivo;

– pertanto, è possibile che il Consiglio Distrettuale di Disciplina, nella sua autonoma valutazione di comportamenti concretamente tenuti, possa pervenire a conclusioni diverse da quelle fatte proprie dal Consiglio.