Viene rivolto a questo Consiglio il seguente quesito:
Un avvocato rinuncia al mandato conferitogli dal debitore esecutato in una procedura esecutiva immobiliare, quindi chiede ed ottiene dal giudice dell’esecuzione un termine per consentire alla parte la nomina di un nuovo legale, termine che inutilmente decorre non intendendo la parte nominare un nuovo difensore. Avendo l’avvocato l’esigenza di agire per recuperare i propri onorari chiede se sia deontologicamente corretto intervenire contro l’ex assistito nella medesima procedura esecutiva.
Risposta al quesito
1. Norme rilevanti e giurisprudenza. Norma rilevante diretta a regolare la fattispecie in esame è l’art. 34 del c.d.f., il quale stabilisce che:
“1. L’avvocato, per agire giudizialmente nei confronti del cliente o della parte assistita per il pagamento delle proprie prestazioni professionali, deve rinunciare a tutti gli incarichi ricevuti.
2. La violazione del dovere di cui al comma precedente comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della censura”.
Con propria giurisprudenza costante il Consiglio Nazionale Forense (C.N.F.) ha stabilito che: “vìola l’art. 34 cdf (già art. 46 codice previgente) l’avvocato che agisca contro l’assistito per il recupero di un proprio credito professionale, senza avere previamente rinunciato al mandato (Nel caso di specie trattavasi di una procedura di pignoramento presso terzi)” (Così C.N.F., sentenza del 29 novembre 2018, n. 164, e nello stesso senso C.N.F. 18 luglio 2013, n. 112, seppure con riferimento all’art. 46 del precedente c.d.f.). Se ne ricava a contrariis che agisce legittimamente senza violare alcun precetto deontologico l’avvocato che agisca contro il proprio cliente dopo aver rinunciato ai mandati da quest’ultimo ricevuti.
2. Il caso concreto. Risulta dalla narrativa dei fatti contenuta nel quesito formulato dal richiedente che egli ha rinunciato al mandato con riferimento alla procedura esecutiva in corso, chiedendo al giudice dell’esecuzione termine per consentire alla parte la nomina di un nuovo legale, termine poi concesso dal giudice anche se non seguito dalla nomina di un nuovo difensore da parte della parte assistita.
L’iniziativa giudiziaria per il recupero degli onorari nei confronti dell’ex cliente è quindi stata presa solo a seguito della rinuncia al mandato ricevuto dalla parte. Tale azione è legittima ogni qual volta il difensore abbia rinunciato a tutti i mandati a lui dati dall’ex cliente nei confronti del quale intende agire, indipendentemente dalla nomina a cura del cliente di un nuovo legale.
Si ricorda che, “l’avvocato che rinunci al mandato, fino a che non sia avvenuta la sostituzione del difensore deve comunque informare la parte assistita delle comunicazioni e notificazioni che dovessero pervenirgli relativamente al precedente incarico, al fine di evitare pregiudizi alla difesa (art. 32 ncdf, già art. 47 codice previgente). Tali principi sono validi anche per la revoca del mandato, quanto meno sotto il profilo della violazione dei doveri di correttezza e di diligenza (artt. 9 e 12 ncdf, già artt. 6 e 8 codice previgente)” (così CNF,sentenza n. 7 del 26 marzo 2019 e, nello stesso senso Cass. SS.UU. sentenza n. 2755 del 30.01.2019) [1].
Il professionista, infatti, è unicamente tenuto a informare l’ex assistito circa le comunicazioni e le notificazioni che dovessero (ancora) pervenirgli, ma il rapporto che legava cliente e avvocato viene definitivamente meno con la rinuncia al mandato correttamente eseguita.
Sebbene quello appena esposto rimanga l’orientamento deontologico di questo consiglio, si segnala che una recente sentenza della Corte di cassazione si legge un orientamento contrario: “orbene, la circostanza che le fattispecie oggetto delle precedenti decisioni richiamate nella sentenza impugnata non fossero perfettamente coincidenti con quella in discorso non rileva invero né punto né poco, giacché ciò che rileva è il principio, principio che si attaglia perfettamente anche al caso in discorso. Difatti, come si diceva, il difensore revocato continua ai sensi dell’art. 85 c.p.c. a svolgere il suo mandato fintanto che non intervenga la sua sostituzione, con il che la circostanza della ridotta o compromessa capacità di intendere e di volere del mandante non interferisce affatto: e dunque l’assolutezza del principio poc’anzi ricordato non è per nulla scalfita dalla circostanza che la mandante fosse per ipotesi divenuta medio tempore incapace di intendere di volere, visto che ciò — salvo non dia luogo ad un fenomeno interruttivo fatto valere come tale — non dispiega effetto sull’esecuzione del mandato, che, nei limiti previsti dal citato art. 85, sopravvive alla revoca e alla rinuncia, fintanto che la revoca o la rinuncia non siano seguite dalla nomina di un nuovo difensore, il quale si trova così ad operare in perfetta continuità con il precedente” (così Cass. 23 giugno 2020, n. 12249).
Secondo quanto sostenuto dalla VI Sezione con la sentenza n. 12249/2020, il disposto dell’art. 85 c.p.c. andrebbe interpretato nel senso che, fino alla sua sostituzione, il difensore conserva le sue funzioni con riguardo alle vicende del processo, sia per quanto attiene alla legittimazione a ricevere atti nell’interesse del mandante, sia per quanto riguarda la legittimazione a compiere atti nel suo interesse.
3. Conclusioni. Questo Consiglio ritiene che non violi alcuna norma deontologica l’avvocato che, dopo aver rinunciato a tutti i mandati ricevuti dalla parte, agisce nei confronti dell’ex cliente per il recupero degli onorari non pagati dallo stesso.
Ciò detto circa il quesito, ci corre infine l’obbligo di precisare che:
– con la nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense “il potere disciplinare appartiene ai consigli distrettuali di disciplina forense” e dunque non rientra più tra i compiti e le prerogative del Consiglio dell’Ordine;
– ne consegue che i pareri in materia deontologica che gli iscritti richiedono al Consiglio dell’Ordine vengono da questo rilasciati in termini generali e non assumono né possono assumere, in eventuali procedimenti disciplinari, alcuna funzione orientativa né tantomeno vincolante del giudizio del Consiglio Distrettuale di Disciplina né rilevare quali esimente dell’iscritto sotto il profilo soggettivo;
– pertanto, è possibile che il Consiglio Distrettuale di Disciplina, nella sua autonoma valutazione di comportamenti concretamente tenuti, possa pervenire a conclusioni diverse da quelle fatte proprie dal Consiglio.
NOTE:
(1) Cfr. Cass., 18 ottobre 2019, n. 26614: “La rinunzia al mandato da parte del difensore (come del pari la revoca della procura da parte del cliente) a noma dell’art. 85 c.p.c., non fa perdere al procuratore rinunziante (o revocato) lo ius postulandi e la rappresentanza legale del cliente per tutti gli atti del processo fino a quando non si sia provveduto alla sua sostituzione con un altro procuratore, sicché per effetto del principio della c.d. perpetuatio dell’ufficio di difensore la rinunzia (così come la revoca) non ha efficacia alcuna nel processo e non determina la relativa interruzione fino a quando non sia avvenuta la sostituzione del difensore”; e ancora .Cass. 20 maggio 2013, n. 12249/2013, che distingue tra ius postulandi attivo e passivo: il difensore, “mentre conserva fino alla sua sostituzione, la legittimazione a ricevere gli atti indirizzati dalla controparte al suo assistito, non è più legittimato a compiere atti nell’interesse del mandante, atteso che la revoca o la rinuncia hanno pieno effetto tra il cliente e il difensore e determinano il venir meno del rapporto di prestazione d’opera intellettuale instauratosi con il c.d. contratto di patrocinio”.