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parere

Avvocato. Incompatibilità tra esercizio della professione e contratto a progetto

E' stato chiesto se sussista una causa di incompatibilità all’iscrzione all’albo per un soggetto che, in possesso dell’abilitazione all’esercizio della professione, abbia in essere un contratto di collaborazione continuativa a progetto.
Al fine di dare una risposta al quesito sottoposto, occorre una preliminare disamina della natura giuridica e delle caratteristiche del contratto di collaborazione continuativa a progetto.
L’elemento centrale di questo contratto di lavoro è da individuarsi nello stretto legame tra prestazione lavorativa e progetto, giacché i contratti di lavoro devono essere ricondotti ad uno o più progetti specifici o a programmi di lavoro oppure a fasi di un programma di lavoro che deve essere gestito autonomamente dal lavoratore a progetto in funzione del risultato. La durata del contratto deve essere determinata o determinabile in maniera funzionale al progetto. In sostanza, il legislatore obbliga le parti a definire un’attività produttiva ben identificabile funzionalmente, collegata alla realizzazione di un risultato finale che può essere connessa all’attività principale oppure riguardare un’attività accessoria dell’impresa committente. Ne discendono come caratteristiche: l’autonomia del collaboratore in funzione del risultato, l’irrilevanza del tempo impiegato per l’esecuzione della prestazione, nonché l’assenza di un vincolo di subordinazione.
Naturalmente sarà necessario analizzare ogni singola fattispecie contrattuale per verificarne la reale natura.
Ciò premesso ai fini del corretto inquadramento del Co.co.pro., al fine di verificare un’eventuale incompatibilità con l’esercizio dell’attività professionale, è necessario stabilire se un tale tipo di lavoro debba o meno rientrare nella previsione dell’art. 18 della legge n. 247/12, secondo cui le incompatibilità riguardano qualsiasi attività di lavoro autonomo svolto continuativamente o professionalmente, qualsiasi attività di impresa commerciale svolta in nome o conto altrui, ovvero la qualità di socio, illimitatamente responsabile o amministratore di società di persone con finalità commerciale e anche di società di capitali, anche costituite in forma cooperativa, nonché qualsiasi attività di lavoro subordinato anche con orario part-time.
Nella vigenza dell’art. 3 RDL 1578/33 che stabiliva l’incompatibilità dell’esercizio della professione di Avvocato “con qualunque impiego o ufficio retribuito” a carico dello stato o di enti pubblici ed, inoltre, “con ogni altro impiego retribuito, anche se consistente nella prestazione di opera di assistenza o consulenza legale, che non abbia carattere scientifico o letterario”, la Corte di Cassazione ha ritenuto, in tempi antecedenti al moltiplicarsi delle forme contrattuali caratterizzanti il mondo del lavoro, che le incompatibilità tra iscrizione all’Albo e “l’impiego retribuito” non si esaurisca con il solo richiamo al lavoro subordinato, ma si estenda anche a tutte quelle fattispecie nelle quali un lavoro continuativo e retribuito faccia venire meno, per le modalità attraverso cui si estrinseca, la libertà ed indipendenza del professionista. Una tale interpretazione consente di adattare la previsione alla rapida evoluzione delle normative inerenti il mondo del lavoro.
Infatti, secondo la posizione espressa dal Consiglio Nazionale Forense, con il parere 11 luglio 2012, n. 47, la compatibilità con l’esercizio professionale di un rapporto di lavoro continuativo deve essere valutata caso per caso, sussistendo l’incompatibilità in relazione alla durata, all’oggetto, ma soprattutto all’organizzazione. Quanto alla durata, è certamente da escludersi nel caso di un rapporto di lavoro che assuma caratteristiche di durata indeterminata. Quanto all’oggetto, questo deve essere certamente determinato, non suscettibile di pattuizioni di esclusiva, non esteso genericamente a tutta l’attività del professionista, dovendo essere compatibile con lo svolgersi di attività libero professionale in favore di altri clienti. Infine, con riguardo all’organizzazione il professionista dovrà avere una sua struttura professionale distinta da quella del cliente con cui ha sottoscritto il contratto di collaborazione, e il professionista non dovrà essere inserito nell’organizzazione produttiva del cliente, né soggetto al potere di controllo e direzione dello stesso.
Qualora emerga la sussistenza dei sopradetti elementi, il rapporto di lavoro va considerato autonomo piuttosto che subordinato e, quindi, compatibile con l’esercizio professionale
Pertanto, occorrerà valutare caso per caso da parte del Consiglio dell’Ordine a cui è richiesta l’iscrizione gli elementi costitutivi e caratterizzanti il rapporto di lavoro, che dovrà considerarsi autonomo, e quindi compatibile con l’iscrizione medesima e l’esercizio professionale, tutte le volte che abbia una durata e un oggetto determinati, che l’oggetto della prestazione non sia suscettibile di pattuizione di esclusiva e sia compatibile con l’attività prestata in favore di altri clienti e che il professionista mantenga una sua struttura professionale distinta e diversa da quella del cliente e non sia allo stesso legato da vincolo di soggezione, direzione e controllo, con particolare attenzione alla sussistenza effettiva e reale dei requisiti strutturali di cui sopra.