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parere

Avvocato: la corrispondenza riservata scambiata tra colleghi non può essere inviata a terzi

Fatto e quesito

Sorge una controversia in ordine all’esecuzione di un contratto preliminare di compravendita di un fondo rustico. Il fondo è affittato al promissario acquirente e, nelle more della trattativa tra le parti, il contratto di affitto giunge alla sua naturale scadenza.

Nell’ambito della trattativa l’avvocato del promittente la vendita con una mail qualificata come riservata e diretta all’avvocato del promissario acquirente afferma che il contratto di affitto è scaduto e che l’affittuario non può eseguire opere urgenti sul vigneto oggetto di preliminare finché non si stipuli il contratto definitivo di compravendita.

Il promissario acquirente non procede, quindi, all’esecuzione delle opere necessarie, ma, a trattativa ancora aperta, riceve un’ispezione del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali che minaccia sanzioni ritenendo il contratto di affitto ancora efficace.

Viene richiesto a questo Consiglio se l’avvocato del promissario può esibire agli organi ispettivi del Ministero la comunicazione riservata del procuratore avversario allo scopo di dimostrare che il proprietario del fondo ha dichiarato l’avvenuta scadenza del contratto e ciò al fine di scongiurare l’applicazione di sanzioni.

Risposta al quesito

1.     Il canone deontologico previsto dall’art. 48 del Codice deontologico forense (“c.d.f.”), rubricato “Divieto di produrre la corrispondenza scambiata con il collega”, prevede al primo comma che l’avvocato non possa produrre in giudizio la corrispondenza intercorsa esclusivamente tra colleghi qualora sia qualificata come riservata, nonché quella contenente proposte transattive e le relative risposte.

Il secondo comma dell’art 48 prevede due deroghe al divieto contenuto nel primo comma. L’avvocato può infatti produrre la corrispondenza intercorsa con i colleghi qualora la stessa

a)          costituisca perfezionamento e prova di un accordo

b)         assicuri l’adempimento delle prestazioni richieste.

Il terzo comma dell’art. 48, che attiene maggiormente al caso che ci occupa, prevede che: “ L’avvocato non deve consegnare al cliente e alla parte assistita la corrispondenza riservata tra colleghi; può, qualora venga meno il mandato professionale, consegnarla al collega che gli succede, a sua volta tenuto ad osservare il medesimo dovere di riservatezza”.

La violazione del divieto di produzione disciplinato dall’art. 48 c.d.f. comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della censura.

2.     Dall’esposizione della fattispecie contenuta nel quesito appare che il contenuto della corrispondenza la cui produzione è stata richiesta non integri le fattispecie di cui al comma 2, lett. a) e b), dell’art. 48.

3.     La norma deontologica è dettata a salvaguardia del corretto svolgimento dell’attività professionale e, salve le eccezioni previste espressamente, prevale persino sul dovere di difesa[1].

Si riporta qui sotto la giurisprudenza di questo consiglio sul tema richiamato dal richiedente. Con il parere del 29 ottobre 2015, nel quale si dà diffusamente atto del medesimo orientamento della giurisprudenza del CNF, questo Consiglio ha infatti stabilito che“(…) la stessa giurisprudenza del CNF non è sempre disposta ad una modulazione del divieto ex art 48 che tenga conto delle differenti tipologie dei giudizi nelle quali la corrispondenza fra colleghi può astrattamene assumere la natura di prova documentale. Sotto quest’ultimo aspetto, il CNF, con la sentenza 10.04.2013, n. 58, ha affermato che ‘… l’art 28 (testo previgente) vieta di produrre in giudizio corrispondenza qualificata come riservata o comunque contenente proposte transattive scambiate tra colleghi; rimane, quindi, esclusa qualsiasi valutazione da parte del destinatario del divieto circa una prevalenza dei doveri di verità o di difesa sul principio di affidabilità lealtà nei rapporti interprofessionali indipendentemente dagli effetti processuali della produzione vietata.’

Inoltre, si segnala come la prevalenza nel bilanciamento di interessi fra la volontà di procurare al cliente il pieno esercizio del diritto di difesa da un lato e dall’altro, la necessità di assicurare affidabilità e lealtà nei rapporti di colleganza è risolta a favore di quest’ultima anche da un’altra pronuncia del CNF (cfr. sentenza 29.11.2012, n. 161). In particolare, nel suddetto provvedimento il CNF ha precisato che ‘… la produzione in giudizio di una lettera contenente una proposta transattiva configura per ciò solo la violazione della norma deontologica di cui all’art 28, precetto che non soffre eccezione alcuna, men che meno in vista del pur commendevole scopo di offrire il massimo della tutela nell’interesse del proprio cliente.’

Conclusivamente, deve ritenersi che, se si reputa che, così come per la corrispondenza definita riservata, anche per la corrispondenza relativa a proposte transattive ed alle conseguenti risposte, il divieto di produzione in giudizio, sancito dall’art 48 ( e prima dall’art 28 del c.d. previgente), debba valere anche in assenza di situazioni di danno potenziale per la controparte della trattativa poi non andata a buon fine; detto divieto sussiste a prescindere dalla tipologia del giudizio nel quale si intende produrre detta documentazione e dall’oggetto di esso”.

Secondo il Consiglio Nazionale Forense, inoltre, “l’art. 48 ncdf  (già art. 28 codice previgente) vieta di produrre o riferire in giudizio la corrispondenza espressamente qualificata come riservata quale che ne sia il contenuto, nonché quella contenente proposte transattive scambiate con i colleghi a prescindere dalla suddetta clausola di riservatezza” (per tutte, C.N.F. 27 settembre 2018, n. 110).

 4.    Pare opportuno precisare, quanto all’autore della comunicazione, che è indifferente che si tratti di corrispondenza inviata o ricevuta, poiché, “mutatis mutandis, il precetto contenuto nell’art. 28 [ora art. 48 c.d.f.] non distingue tra corrispondenza inviata o ricevuta essendo il divieto di produzione generale e non colpito da alcuna eccezione” (vedi C.N.F., sent. n. 194/2017).

Anche se la corrispondenza proviene dallo stesso avvocato che vorrebbe depositarla in giudizio, pertanto, essa non può essere prodotta.

Salvo che nei casi delle eccezioni indicate dalla norma, non può dunque l’avvocato produrre in giudizio, anche se questo riguarda la materia penale, la corrispondenza fra colleghi qualificata come riservata. La norma deontologica è infatti dettata a salvaguardia del corretto svolgimento dell’attività professionale e, salve le eccezioni previste espressamente, prevale persino sul dovere di difesa. (CNF sentenza del 20 ottobre 2016, n. 315, In senso conforme, tra le altre, CNF sentenza del 28 luglio 2016, n. 259, CNF sentenza del 25 luglio 2016, n. 215, CNF sentenza del 11 giugno 2016, n. 158, CNF sentenza del 23 luglio 2013, n. 135, CNF sentenza del 20 luglio 2012, n. 98)

La giurisprudenza del Consiglio Nazionale Forense è molto restrittiva nelle sue interpretazioni del precetto deontologico e il testo della norma è chiaro: deve pertanto ritenersi che anche la produzione, invio o comunicazione alle Autorità in genere di corrispondenza riservata fra avvocati costituisca illecito disciplinare, come del resto il richiedente il parere desume con richiamando la sentenza del C.N.F. del 18 maggio 1999, n. 57, emessa sotto il regime dell’art. 28 del previgente codice deontologico.

5.     Conclusioni.

La corrispondenza riservata, salvo che nelle eccezioni contemplate dalle lettere a) e b) del secondo comma dell’art. 48, da qualunque dei legali di parte essa provenga, non può essere prodotta in giudizio, non può essere consegnata al cliente o alla parte assistita, né tantomeno inviata a terzi (nel caso specifico gli “organi ispettivi del Ministero”) anche laddove attenga al diritto di difesa.

Ci corre infine l’obbligo di precisare che:

– con la nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense “il potere disciplinare appartiene ai consigli distrettuali di disciplina forense” e dunque non rientra più tra i compiti e le prerogative del Consiglio dell’Ordine;

– ne consegue che i pareri in materia deontologica che gli iscritti richiedono al Consiglio dell’Ordine vengono da questo rilasciati in termini generali e non assumono né possono assumere, in eventuali procedimenti disciplinari, alcuna funzione orientativa né tantomeno vincolante del giudizio del Consiglio Distrettuale di Disciplina né rilevare quali esimente dell’iscritto sotto il profilo soggettivo;

– pertanto, è possibile che il Consiglio Distrettuale di Disciplina, nella sua autonoma valutazione di comportamenti concretamente tenuti, possa pervenire a conclusioni diverse da quelle fatte proprie dal Consiglio.

NOTE:

(1)       La riservatezza della corrispondenza tra Colleghi, che tutela in definitiva la libertà del Difensore nella conduzione della lite, costituisce un canone essenziale che prevale, peraltro, salve le eccezioni previste espressamente, persino sul dovere di difesa» (cfr., per tutti, C.N.F., sent. 110/2018; 99/2018; 194/2017)