1. Quesito. E’ stato rivolto a questo Consiglio il seguente quesito.
Un avvocato ha ricevuto l’incarico da un Condominio di assisterlo in un appalto di lavori. Successivamente riceve dal medesimo Condominio la richiesta di procedere giudizialmente nei confronti di uno dei condomini, il quale è moroso nel pagamento delle rate di spese condominiali, inclusa la quota della parcella dell’avvocato.
Si chiede quindi l’avvocato se agendo contro uno dei condomini si ponga un problema di incompatibilità.
2. Norme rilevanti e giurisprudenza. Viene in rilievo l’art. 24 del Codice deontologico forense (c.d.f.), il quale stabilisce che:
“1. L’avvocato deve astenersi dal prestare attività professionale quando questa possa determinare un conflitto con gli interessi della parte assistita e del cliente o interferire con lo svolgimento di altro incarico anche non professionale.
2. L’avvocato nell’esercizio dell’attività professionale deve conservare la propria indipendenza e difendere la propria libertà da pressioni o condizionamenti di ogni genere, anche correlati a interessi riguardanti la propria sfera personale.
3. Il conflitto di interessi sussiste anche nel caso in cui il nuovo mandato determini la violazione del segreto sulle informazioni fornite da altra parte assistita o cliente, la conoscenza degli affari di una parte possa favorire ingiustamente un’altra parte assistita o cliente, l’adempimento di un precedente mandato limiti l’indipendenza dell’avvocato nello svolgimento del nuovo incarico.
4. L’avvocato deve comunicare alla parte assistita e al cliente l’esistenza di circostanze impeditive per la prestazione dell’attività richiesta.
5. Il dovere di astensione sussiste anche se le parti aventi interessi confliggenti si rivolgano ad avvocati che siano partecipi di una stessa società di avvocati o associazione professionale o che esercitino negli stessi locali e collaborino professionalmente in maniera non occasionale.
6. La violazione dei doveri di cui ai commi 1, 3 e 5 comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da uno a tre anni. La violazione dei doveri di cui ai commi 2 e 4 comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della censura.”
Tali principi sono stati messi in evidenza dal Consiglio Nazionale Forense nelle proprie sentenze, dove si è sottolineato che l’avvocato deve garantire l’assoluta terzietà, al di sopra di ogni ragionevole dubbio, nell’espletamento della professione.
Così il C.N.F. nella sentenza n. 182 del 17 dicembre 2018 (vd. anche sentenza del 12 luglio 2016, n. 186):
“Affinché possa dirsi rispettato il canone deontologico posto dall’art. 24 cdf (già art. 37 codice previgente) non solo deve essere chiara la terzietà dell’avvocato, ma è altresì necessario che in alcun modo possano esservi situazioni o atteggiamenti tali da far intendere diversamente. La suddetta norma, invero, tutela la condizione astratta di imparzialità e di indipendenza dell’avvocato – e quindi anche la sola apparenza del conflitto – per il significato anche sociale che essa incorpora e trasmette alla collettività, alla luce dell’id quod plerumque accidit, sulla scorta di un giudizio convenzionale parametrato sul comportamento dell’uomo medio, avuto riguardo a tutte le circostanze e peculiarità del caso concreto, tra cui la natura del precedente e successivo incarico”.
La ratio dell’art. 24 c.d.f. è, per il Consiglio Nazionale forense, quella di “evitare situazioni che possano far dubitare della correttezza dell’operato dell’avvocato e, quindi, perché si verifichi l’illecito, è sufficiente che potenzialmente l’opera del professionista possa essere condizionata da rapporti di interesse con la controparte. “
In particolare, la sentenza in questione nell’individuare la natura giuridica dell’illecito disciplinare in materia di conflitto di interessi fa riferimento alle categorie del diritto penale, affermando che l’illecito disciplinare “è un illecito di pericolo, quindi l’asserita mancanza di danno è irrilevante perché il danno effettivo non è elemento costitutivo dell’illecito contestato. “(C.N.F. sentenza del 29 luglio 2016, n. 265)
In altre parole, le situazioni personali o gli atteggiamenti del professionista che, anche solo astrattamente, possano implicare un conflitto di interesse, violano il codice deontologico.
3. Considerazioni del Consiglio
La risposta al quesito formulato dipende dalla possibilità di attribuire al condominio una autonoma soggettività rispetto a quella dei singoli condomini.
Il dibattito sul punto è da sempre molto animato sia in dottrina che in giurisprudenza e può dirsi pervenuto a un punto di stabilità essendo, la giurisprudenza di merito e di legittimità più recente, giunta a riconoscere al condominio una soggettività giuridica, seppure limitata, la quale, sebbene non qualificabile in termini di vera e propria personalità giuridica, consente ad esso di divenire titolare di rapporti giuridici distinti rispetto a quelli riferibili ai singoli condomini.
Tale orientamento è enunciato nella sentenza n. 19034 del 18 aprile 2019 con la quale le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno precisato che solo nelle cause che attengono alla tutela della proprietà dei beni comuni i singoli condomini sono legittimati a sostituirsi al condominio anche ai fini dell’impugnazione delle decisioni rese nei confronti di quest’ultimo. In questi casi infatti “è il diritto dell’amministratore che si aggiunge a quello dei naturali e diretti interessati ad agire a tutela dei beni dei quali sono comproprietari insidiati da azioni illegittime di altri condomini o di terzi”, perché “allorquando si è in presenza di cause introdotte da un terzo o da un condomino che riguardino diritti afferenti al regime della proprietà e ai diritti reali relativi a parti comuni del fabbricato, e che incidono su diritti vantati dal singolo su di un bene comune, non può negarsi la legittimazione alternativa individuale”.
Anche in materia di appalto, la Corte di Cassazione riconosce ai singoli condomini la legittimazione ad agire in proprio per le controversie relative alle parti dell’edificio di proprietà esclusiva del singolo condomino e, nell’inerzia dell’amministratore, anche per le questioni relative alle parti comuni con riferimento alla quota di proprietà del singolo condomino.
Per le cause che invece riguardano la gestione dei beni condominiali o i rapporti contrattuali che vedono come parte il condominio, non è ammissibile un’autonoma legittimazione dei condomini all’impugnazione (così, da ultimo, anche Cass. 1 dicembre 2021, , n.37721: “ Ritiene il Collegio che occorra prendere le mosse da quanto affermato da Cass. SS.UU. 19034/2019 che, chiamata a risolvere una questione sostanzialmente analoga, e ribadendo la conclusione in merito alla carenza di soggettività giuridica per il condominio – dandosi continuità alla sua configurazione quale mero ente di gestione – ha precisato che solo nelle cause che attengono alla tutela della proprietà dei beni comuni, i singoli condomini sono legittimati a sostituirsi al condominio anche ai fini dell’impugnazione delle decisioni rese nei confronti di quest’ultimo”).
Ancora più recentemente inoltre, in materia non di condominio ma di società di persone, la Corte di Cassazione, sempre a Sezioni Unite, (sentenza 15 marzo 2022, n. 8337) ha riformato la sentenza del CNF dell’11 giugno 2021, n.121 ravvisando un errore di diritto commesso dal CNF, laddove questo ha ritenuto che l’incarico assunto nell’interesse della società in nome collettivo, ovvero un soggetto con soggettività giuridica limitata, sia automaticamente anche relativo ad un interesse dei singoli soci, in ciò ravvisando il conflitto di interessi. “Al contrario, la s.n.c. è un soggetto autonomo, che gode di una distinta soggettività rispetto ai singoli soci, infatti, il debito sociale non si configura come un debito proprio del socio, ma unicamente della società, dal momento che il socio illimitatamente responsabile assume la posizione di mero garante ex lege per un debito altrui.
Per questa ragione, non integra l’illecito deontologico di cui all’art. 24, il fatto che l’avvocato abbia assunto «incarichi per la società o per soci in posizioni analoghe (quelli non receduti), in posizione contrapposta a quella di altro socio (quello receduto)»”. Il Consiglio Nazionale Forense, aveva comminato la sanzione della sospensione nei confronti di un avvocato che aveva assunto un incarico per la società e i soci contro un socio receduto stabilendo che: “La società in nome collettivo è priva di personalità giuridica e i soci sono solidalmente e potenzialmente responsabili per le obbligazioni della medesima, sicché un incarico assunto nell’interesse della società stessa è automaticamente relativo anche a un interesse dei singoli soci, indipendentemente dal profilo dell’autonoma capacità processuale della società stessa, con tutto ciò che consegue in materia di configurazione della fattispecie di conflitto di interesse, che si incentra su un criterio di carattere anzitutto sostanziale e non solo meramente formale”.
Stante la capacità del condominio di essere titolare di autonomi diritti e obblighi, si deve ritenere che esso sia soggetto distinto e autonomo rispetto ai singoli condomini e che l’incarico di assistenza professionale relativo agli obblighi dei singoli condomini nei confronti del condominio (in particolare quelli relativi al pagamento degli oneri condominiali) sia conferito all’avvocato non dai singoli condomini mediante atti di mandato separati, ma dal condominio, di modo che non agisce in conflitto di interessi, e quindi non viola l’art. 24 c.d.f., l’avvocato che, su mandato conferito dal condominio anche per incarichi precedenti, assuma un nuovo incarico dal condominio per agire contro uno dei condomini.
Ciò detto circa il quesito, ci corre infine l’obbligo di precisare che:
– con la nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense “il potere disciplinare appartiene ai consigli distrettuali di disciplina forense” e dunque non rientra più tra i compiti e le prerogative del Consiglio dell’Ordine;
– ne consegue che i pareri in materia deontologica che gli iscritti richiedono al Consiglio dell’Ordine vengono da questo rilasciati in termini generali e non assumono né possono assumere, in eventuali procedimenti disciplinari, alcuna funzione orientativa né tantomeno vincolante del giudizio del Consiglio Distrettuale di Disciplina né rilevare quali esimente dell’iscritto sotto il profilo soggettivo;
– pertanto, è possibile che il Consiglio Distrettuale di Disciplina, nella sua autonoma valutazione di comportamenti concretamente tenuti, possa pervenire a conclusioni diverse da quelle fatte proprie dal Consiglio.