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parere

Avvocato: l’incarico a favore di ente pubblico, ex controparte

Viene chiesto a questo Consiglio un chiarimento in merito ad un precedente parere che era stato fornito.
Nella richiesta di chiarimento si afferma che la Commissione Pareri dell’Ordine, in un precedente parere reso alla richiedente il chiarimento, si era così espressa: «assunto un mandato contro l’ente pubblico, si può ritenere, per converso, che l’avvocato non soltanto non possa assumere un mandato in favore di quello stesso ente, salvo che non sia decorso il termine biennale di vacatio dalla cessazione del rapporto professionale, ma che debba anche chiedere la cancellazione dall’elenco dei legali esterni dell’ente».
La richiedente il chiarimento dopo aver affermato che è evidente che non può essere assunto alcun incarico dalla controparte di una causa in corso, si chiede “perché dover attendere due anni dalla cessazione dell’incarico anche in questa ipotesi: forse per analogia con l’art. 68 citato?”
La necessità di una nuova lettura dell’art. 68 c.d.f. con riferimento agli incarichi conferiti ai legali esterni dalle Pubbliche Amministrazioni: il parere del COA di Firenze del 30 luglio 2019. Il precedente parere reso da questo Consiglio dell’Ordine ai quesiti sollevati dalla richiedente il chiarimento ha fatto leva sul disposto dell’art. 24 del Codice deontologico forense (d’ora in poi “c.d.f.”) per desumerne l’inopportunità dell’assunzione di un incarico professionale a favore di una ex controparte prima che siano decorsi due anni dal rapporto professionale con la parte assistita.
In riscontro alla sopra esposta richiesta di chiarimento si evidenzia oggi che non esiste alcuna norma che prevede il divieto di assumere un incarico contro una ex controparte, né una norma che a tal fine prevede la necessità di attendere il decorso di un termine biennale, e che la risposta negativa fornita nello scorso parere si fondava esclusivamente su motivi di opportunità e decoro al fine di evitare l’apparenza dell’esistenza di un possibile conflitto di interessi nei confronti dell’ex cliente (1).
Di tale parere negativo appare oggi opportuno un ripensamento diretto a rimettere la valutazione circa l’opportunità di assumere o meno un determinato incarico all’avvocato stesso che assume l’incarico.
Tale ripensamento appare giustificato soprattutto alla luce delle considerazioni svolte da questo stesso Consiglio dell’Ordine nel proprio parere del 30 luglio 2019 relativo alle “Problematiche in merito all’applicazione dell’art. 68, primo comma, del codice deontologico nel caso di incarichi affidati ai professionisti dalle Pubbliche Amministrazioni”. In tale parere, sulla base di considerazioni di merito relative alla natura dei procedimenti di affidamento degli incarichi da parte delle Pubbliche Amministrazioni, si auspica una riforma che preveda per le Pubbliche Amministrazioni una deroga dell’applicabilità dell’art. 68, comma 1, del c.d.f., che, come noto, pone un divieto di assumere incarichi contro ex clienti dell’avvocato prima che sia decorso un termine di due anni (2).
Si legge infatti in tale parere: “L’affidamento del predetto incarico finisce dunque per assumere le caratteristiche di un vero e proprio «appalto di servizi» svolto all’esito di un confronto concorrenziale. Ne consegue che è indubbiamente mutato il rapporto tra professionista e Pubblica Amministrazione quantomeno nel senso che nell’ambito delle P.A. non appaiono più configurabili, come indicato nella richiesta di parere, «rapporti fiduciari continuativi con determinati professionisti.» (…)
Ne consegue che il professionista così individuato è sostanzialmente un «prestatore di servizi» e non un soggetto scelto intuitu personae: da qui l’opportunità di rimeditare la norma (…).
Ebbene, anche in considerazione della suddetta ratio della disposizione e del venir meno della scelta strictu sensu «fiduciaria» dell’avvocato individuato dalle P.A (che, in base alle Linee guida ANAC devono procedere mediante «l’equa ripartizione degli incarichi, onde evitare il consolidarsi di rapporti solo con alcuni professionisti»), l’affidamento di un singolo incarico di difesa non dovrebbe determinare il divieto per il professionista di tutelare una parte privata in qualsiasi controversia da intraprendere contro la medesima Amministrazione pubblica. Ovviamente, fermi restando gli ulteriori divieti di cui ai commi 2 e 3 dello stesso art. 68 e dunque che l’oggetto del nuovo incarico sia totalmente estraneo a quello affidato dalla P.A. e che non vengano mai utilizzate notizie acquisite in ragione del precedente rapporto professionale. (…)
A tale indubbio mutamento di rapporti fanno seguito una serie di problematiche come quella relativa ai conflitti di interesse nell’esecuzione dell’incarico conferito da una P.A. di cui all’art. 24 del Codice deontologico.
Tale questione è stata espressamente affrontata nelle Linee guida nelle quali è stato ritenuto che «in caso di costituzione di un elenco di professionisti, la valutazione dell’assenza di una situazione di conflitto di interesse in capo al professionista va effettuata al momento dell’affidamento del contratto, al fine di evitare una ingiustificata restrizione della libertà di iniziativa economica del professionista, il quale sarebbe altrimenti costretto a rinunciare, a priori, a qualsiasi incarico di patrocinio legale contro la stessa amministrazione, per la mera aspettativa di un futuro incarico di difesa o di consulenza con la medesima amministrazione»”.
La fattispecie oggetto del quesito riguarda proprio i rapporti con la Pubblica Amministrazione e la possibilità dell’avvocato che abbia a suo tempo agito contro la stessa amministrazione di mantenere l’iscrizione nelle liste dei legali esterni.
Alla luce delle considerazioni svolte in merito alla perdita della caratterizzazione fiduciaria degli incarichi attribuiti ai professionisti esterni dalle Pubbliche Amministrazioni, nonché delle condivisibili motivazioni esposte nel parere citato per giustificare l’auspicio di una “rimeditazione” dell’art. 68 e della sua applicabilità alle Pubbliche Amministrazioni (3), si deve considerare che vengano meno anche tutte quelle considerazioni svolte nel precedente parere reso da questa commissione in merito all’opportunità di evitare, nell’assunzione del mandato nei confronti dell’ex controparte, qualsiasi dubbio “sull’assenza di terzietà dell’avvocato nella gestione dell’incarico che l’art. 24 NCDF vuole scongiurare.” Circostanza che “sembrerebbe poter affliggere sia il rapporto con la parte assistita, sia assumere rilevanza nei confronti della collettività, con conseguente discredito del ceto forense.”
Se infatti si ritiene che, con riferimento agli incarichi conferiti dalle Pubbliche Amministrazioni, debba proporsi un’eccezione all’applicazione del primo comma dell’art. 68 c.d.f. ai legali esterni, a maggior ragione si deve ritenere che le menzionate ragioni di opportunità non sussistano nel caso di incarico assunto dal legale esterno a favore di una Pubblica Amministrazione che è stata un tempo non una sua cliente ma una sua controparte.
In risposta quindi al quesito della richiedente il chiarimento si conclude pertanto nel senso che, anche prima che sia decorso il termine di due anni dalla chiusura del rapporto fiduciario con il cliente, sia possibile per il legale esterno assumere un incarico professionale a favore di una Pubblica Amministrazione ex controparte purché non sussista un evidente conflitto di interessi con l’ente mandante e non siano violati i precetti contenuti nei commi 2 e 3 dell’art. 68 c.d.f., che si devono invece ritenere applicabili anche alla fattispecie in esame.
Appare legittimo di conseguenza anche il mantenimento dell’iscrizione nella lista dei legali esterni da parte del legale che abbia assunto in precedenza un mandato contro la medesima Pubblica Amministrazione dalla quale vorrebbe assumere un incarico professionale.
Ciò detto circa il quesito, corre infine l’obbligo di precisare che con la nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense “il potere disciplinare appartiene ai Consigli Distrettuali di Disciplina Forense” e dunque non rientra più tra i compiti e le prerogative del Consiglio dell’Ordine.
Ne consegue che i pareri in materia deontologica che gli iscritti richiedono al Consiglio dell’Ordine vengono da questo rilasciati in termini generali e non assumono né possono assumere, in eventuali procedimenti disciplinari, alcuna funzione orientativa né tantomeno vincolante del giudizio del Consiglio Distrettuale di Disciplina né rilevare quali esimente dell’iscritto sotto il profilo soggettivo.
Pertanto è possibile che il Consiglio Distrettuale di Disciplina, nella sua autonoma valutazione di comportamenti concretamente tenuti, possa pervenire a conclusioni diverse da quelle fatte proprie dal Consiglio.

(1) “La ratio della disposizione deontologica che pone il divieto va, infatti, ricercata nella tutela dell’immagine della professione forense, ritenendosi non decoroso né opportuno che un avvocato muti troppo rapidamente cliente, passando nel campo avverso senza un adeguato intervallo temporale e prescinde anche dal concreto utilizzo di eventuali informazioni acquisite nel precedente incarico (Consiglio Nazionale Forense, 13 marzo 2013, n. 35)” (sentenza CNF 21.11.2017 n. 180).
(2) Stabilisce l’art 68 del c.d.f. che:
“1. L’avvocato può assumere un incarico professionale contro una parte già assistita solo quando sia trascorso almeno un biennio dalla cessazione del rapporto professionale.
2. L’avvocato non deve assumere un incarico professionale contro una parte già assistita quando l’oggetto del nuovo incarico non sia estraneo a quello espletato in precedenza.
3. In ogni caso, è fatto divieto all’avvocato di utilizzare notizie acquisite in ragione del rapporto già esaurito.
4. L’avvocato che abbia assistito congiuntamente coniugi o conviventi in controversie di natura familiare deve sempre astenersi dal prestare la propria assistenza in favore di uno di essi in controversie successive tra i medesimi.
5. L’avvocato che abbia assistito il minore in controversie familiari deve sempre astenersi dal prestare la propria assistenza in favore di uno dei genitori in successive controversie aventi la medesima natura, e viceversa.
6. La violazione dei divieti di cui al comma 1 e 4 comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da due a sei mesi. La violazione dei doveri e divieti di cui ai commi 2, 3 e 5 comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da uno a tre anni.”
(3) Si legge infatti nel menzionato parere; “La rimeditazione dell’art. 68 del Codice deontologico consentirebbe, da un lato, di non restringere in modo ingiustificato la libertà di iniziativa economica del professionista e, dall’altro, consentirebbe alle P.A. di non dover rinunciare ad affidare incarichi a professionisti qualificati che magari scelgono di non partecipare al confronto competitivo indetto dall’Amministrazione per non vedersi precludere la possibilità di assumere per lunghissimo tempo eventuali incarichi contro la medesima P.A.
La modifica dell’art. 68 del Codice deontologico potrebbe essere, ad esempio, nel senso di inserirvi un ulteriore comma che preveda in modo espresso, per le singole Amministrazioni pubbliche, di autorizzare la deroga al vincolo ivi contenuto”.