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Susanna Della Felice

Coordinatore di Redazione:

Lapo Mariani

parere

Avvocato: patto di quota lite

E’ stato chiesto a questo Consiglio se un patto inserito in una scrittura privata che è stata allegata costituisca o meno patto di quota lite vietato ex art. 13 comma 3 Legge Professionale ed ex art. 25 Codice Deontologico Forense.
E’ necessario premettere che questo Consiglio non può rilasciare pareri sulla compatibilità o meno di singoli casi con la Legge Professionale o con il Codice Deontologico Forense né, pertanto, sulla esistenza o meno di patti nulli su singoli documenti.
I pareri rilasciati da questo Consiglio devono necessariamente riguardare aspetti generali involgenti, come in questo caso, la Legge Professionale e il Codice Deontologico Forense.
Ciò detto, il terzo comma dell’art. 13 Legge Professionale recita:
“La pattuizione dei compensi e’ libera: e’ ammessa la pattuizione a tempo, in misura forfetaria, per convenzione avente ad oggetto uno o più affari, in base all’assolvimento e ai tempi di erogazione della prestazione, per singole fasi o prestazioni o per l’intera attività, a percentuale sul valore dell’affare o su quanto si prevede possa giovarsene, non soltanto a livello strettamente patrimoniale, il destinatario della prestazione”.
Il quarto comma aggiunge:
“Sono vietati i patti con i quali l’avvocato percepisca come compenso in tutto o in parte una quota del bene oggetto della prestazione o della ragione litigiosa”.
Questa norma è stata in pratica trasposta nell’art. 25 del Codice Deontologico Forense il quale, al primo comma, prevede che:
“La pattuizione dei compensi, fermo quanto previsto dall’art. 29, quarto comma, è libera. È ammessa la pattuizione a tempo, in misura forfettaria, per convenzione avente ad oggetto uno o più affari, in base all’assolvimento e ai tempi di erogazione della prestazione, per singole fasi o prestazioni o per l’intera attività, a percentuale sul valore dell’affare o su quanto si prevede possa giovarsene il destinatario della prestazione, non soltanto a livello strettamente patrimoniale”.
Al secondo comma aggiunge che:
“Sono vietati i patti con i quali l’avvocato percepisca come compenso, in tutto o in parte, una quota del bene oggetto della prestazione o della ragione litigiosa”.
Queste norme sono state interpretate dal Consiglio Nazionale Forense nel senso che:
– ai sensi dell’art. 13 L. n. 247/2012, “sono vietati i patti con i quali l’avvocato percepisca come compenso in tutto o in parte una quota del bene oggetto della prestazione o della ragione litigiosa”;
– è invece valida la pattuizione con cui si determini il compenso “a percentuale sul valore dell’affare o su quanto si prevede possa giovarsene, non soltanto a livello strettamente patrimoniale, il destinatario della prestazione”;
– la differenza tra le due fattispecie deve essere intesa nel senso che la percentuale può essere rapportata al valore dei beni o agli interessi litigiosi, ma non può esserlo al risultato; in tal senso deve infatti interpretarsi l’inciso “si prevede possa giovarsene”, che appunto evoca un rapporto con ciò che si prevede e non con ciò che costituisce il consuntivo della prestazione professionale.
In questo senso Consiglio Nazionale Forense, 18.3.2014 n. 26; conf. Consiglio Nazionale Forense, 30.12.2013 n. 225.
In altre parole, sempre secondo le decisioni sopra citate, la differenza che esiste tra pattuizione del compenso a percentuale (lecito) e patto di quota lite (illecito) è che si abbia il primo quando la percentuale che determina il compenso venga calcolata sul valore della domanda; si abbia invece il secondo quando la percentuale sia determinata su quanto conseguito all’esito della causa.
Per quanto riguarda il momento della stipulazione del patto, si precisa che la Corte di Cassazione, Sez. III, 4.2.2016 n. 2169, nel ribadire la natura di patto di quota – lite vietato quello nel quale si collega “preventivamente il contenuto patrimoniale e la disciplina del rapporto d’opera intellettuale alla partecipazione del professionista ad interessi economici finali della lite ed esterni alla prestazione professionale”, ha però ritenuto (contrariamente alle decisioni del CNF sopra richiamate) che “non costituisce patto di quota lite l’accordo sul pagamento delle prestazioni professionali stipulato alla conclusione dell’attività difensiva svolta”.
Si segnala doverosamente che questa interpretazione potrebbe però contrastare con le disposizioni del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea del 25.3.1957 n. 3, modificato con Trattato n. 2008/8/TI, pubblicato in GUE del 9.5.2008 n. 115, con particolare riferimento all’art. 101 (ex art. 81 del TCE); questa norma, com’è noto, vieta pratiche anticoncorrenziali.
La Commissione Europea, nel dettare le linee direttrici sull’applicazione dell’art. 81 del TCE (come detto oggi sostituito dall’art. 101 del TFUE), direttrici pubblicate la prima volta in GUE del 27.4.2004 n. 101 e aggiornate al 21.2.2011, ha precisato che:
– l’articolo 101, paragrafo 1, vieta tutti gli accordi fra imprese, decisioni di associazioni di imprese e pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra i paesi dell’UE e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza;
– la tutela della concorrenza è un principio fondamentale del diritto comunitario;
– qualora un accordo sia restrittivo della concorrenza di regola questo è vietato, a meno che non ricorrano tutte le condizioni, previste dalla norma, che consentano detta restrizione.
Al di là del valore della norma deontologica, che ricalca come detto l’art. 13 comma 4 Legge 247/12, il problema è stabilire se quest’ultima disposizione, per come è stata interpretata dal Consiglio Nazionale Forense (divieto di pattuizione del compenso come percentuale sull’ottenuto), possa o meno ritenersi un precetto legislativo che imponga una condotta in contrasto con l’art. 101 TFUE, e cioè possa vedersi detta norma come un impedimento all’esplicazione del principio della libera concorrenza in ambito comunitario tra tutti gli operatori economici di un determinato settore.
Se si ritiene che sia così, l’art. 13 comma 4 Legge 247 del 2012 va disapplicato per contrasto con il diritto comunitario, travolgendo così anche l’art. 25 comma 2 del Codice Deontologico Forense che, a quel punto, non avrebbe più ragion d’essere. Così facendo diventerebbero pertanto legittimi i patti di quota – lite e cioè le pattuizioni sul compenso determinate come percentuale su quanto il cliente dell’avvocato avrà ottenuto all’esito della decisione della causa.
Questo Consiglio deve nel presente parere prospettare entrambe le ipotesi pur significando che, allo stato, non è possibile prevedere quale delle due tesi potrà in futuro prevalere.
Va però doverosamente precisato che, allo stato, la normativa vigente, all’art. 13 comma 4 Legge 247 del 2012 vieta accordi per il compenso professionale sull’ottenuto ritenendoli consentiti solo sul domandato.
Ci corre infine l’obbligo di precisare che:
– con la nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense il “potere disciplinare appartiene ai consigli distrettuali di disciplina forense” (art. 50 L. 247/2012) e dunque non rientra più tra i compiti e le prerogative del Consiglio dell’Ordine;
– ne consegue che i pareri in materia deontologica che gli iscritti richiedono al Consiglio dell’Ordine vengono da questo rilasciati in termini generali e non assumono né possono assumere, in eventuali procedimenti disciplinari, alcuna funzione orientativa né tantomeno vincolante del giudizio del Consiglio Distrettuale di Disciplina né rilevare quale esimente dell’iscritto sotto il profilo soggettivo;
– pertanto è possibile che il Consiglio Distrettuale di Disciplina, nella sua autonoma valutazione dei comportamenti concretamente tenuti, possa pervenire a conclusioni diverse da quelle fatte proprie dal Consiglio anche per quanto riguarda l’elemento soggettivo.