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Susanna Della Felice

Coordinatore di Redazione:

Lapo Mariani

parere

Avvocato. Prestazioni a favore di clienti di società di servizi.

E' stato chiesto un parere circa la possibile violazione del canone I dell’art. 19 del Codice deontologico forense, qualora una società di servizi si ponga come soggetto interposto tra l’avvocato e il cliente, mettendo a disposizione dell’avvocato stesso la propria struttura operativa per consentirgli l’assunzione di incarichi.
Il rapporto tra la società di consulenza e gli studi legali convenzionati è disciplinato da una convenzione, da stipularsi tra la predetta società di consulenza, uno studio legale fisso che svolge le funzioni di dominus e un altro studio legale con compiti di sostituto processuale presso un determinato Tribunale.
L’oggetto della convenzione è l’obbligo del dominus e del sostituto processuale di fornire ai clienti della società di servizi l’attività di consulenza e assistenza stragiudiziale e giudiziale nelle materie di propria competenza.
Le modalità di svolgimento della prestazione, per quanto interessa ai fini della redazione del presente parere, sono le seguenti:
per l’attività di consulenza la prestazione è gratuita se non è complessa, altrimenti ai minimi delle tariffe professionali;
per l’attività giudiziale il cliente della società di servizi conferirà mandato al dominus, il quale nominerà il sostituto processuale presso il cui studio eleggerà domicilio;
al dominus e al sostituto processuale verrà versato pro capite un corrispettivo forfettario di 250 euro per le procedure fallimentari ed esecutive e di 500 euro per gli altri giudizi, oltre alle spese vive sostenute; solo in caso di esito positivo del giudizio, con condanna alle spese del soccombente cui è seguito il recupero effettivo delle stesse, il dominus e il sostituto processuale potranno dividersi il ricavato in parti uguali, previa restituzione alla società di servizi della predetta somma già pagata;
il rapporto con il cliente verrà intrattenuto esclusivamente dal dominus;
la società di servizi potrà far menzione dell’esistenza della convenzione con il dominus e il sostituto processuale nelle proprie comunicazioni anche di natura commerciale.
Nella vicenda in esame, il problema da affrontare concerne la possibile violazione del canone I dell’art. 19 del Codice deontologico forense, in quanto la società di servizi si pone come soggetto interposto tra l’avvocato e il cliente, mettendo a disposizione dell’avvocato stesso la propria struttura operativa per consentirgli l’assunzione di incarichi.
Appare, pertanto, opportuno, effettuare una preliminare ricognizione delle pronunce più significative intervenute al riguardo, sia da parte del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Firenze sia da parte del C.N.F.
Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Firenze , con parere del 2009, si era già espresso sul caso di un avvocato, il quale richiedeva una valutazione sull’inserimento nel sito internet di una determinata azienda, titolare di un circuito a cui si accede tramite apposita convenzione e il cui scopo è quello di fornire ai propri convenzionati beni e servizi a prezzi scontati, il proprio nominativo con la propria qualifica, nonché con l’indicazione di tutti i dati del proprio studio (indirizzo, telefono, fax, e-mail) e con l’assicurazione che avrebbe applicato uno sconto ai soggetti convenzionati che fossero divenuti suoi clienti sulle tariffe delle proprie prestazioni professionali 
Sul tema è stato precisato che l’art. l’art. 17/bis del Codice Deontologico Forense, nel prevedere che un avvocato possa dare informazione sulla propria attività professionale indicando, tra l’altro, l’indirizzo, i numeri telefonici, il fax e l’e-mail nonché il Consiglio dell’Ordine presso il quale è iscritto, stabilisce anche che l’avvocato possa utilizzare esclusivamente i siti web con domini propri e direttamente riconducibili al proprio studio (o allo studio legale associato o alla società professionale a cui partecipi), previa comunicazione al Consiglio dell’Ordine di appartenenza della forma e del contenuto in cui si è espresso. 
E ’stato, pertanto, ritenuto come non consentito ad un avvocato di procedere all’inserzione del proprio nominativo e dei propri dati in un sito web di terzi, chiunque sia il titolare del sito e qualunque sia il contenuto dell’inserzione riferibile all’avvocato. 
Tale divieto è stato ritenuto sussistente, quindi, anche a prescindere dalla menzione, o meno, nell’inserzione stessa dello sconto sulle tariffe professionali che l’avvocato praticherebbe ai convenzionati in relazione alle proprie prestazioni professionali, fermo restando che si tratta di un messaggio che, se pur astrattamente ammissibile dopo l’entrata in vigore delle disposizioni del D.L. n. 23/2006, convertito in Legge n. 248/2006, che consentono agli avvocati di non rispettare i minimi degli onorari previsti dalle tariffe professionali e di promuovere la propria attività, deve, comunque, rispettare non solo il dovere di lealtà e correttezza, ragione per cui occorre che sia espresso pure in modo chiaro e verificabile ex post quanto alla sua concreta applicazione, ma anche quello di dignità e di decoro della professione che presuppone che il contenuto del messaggio e/o l’effettivo oggetto del rapporto posto in essere dall’avvocato non equipari l’avvocato medesimo ad un mero commerciante e le sue prestazioni professionali a pura e semplice merce. 
Quest’ultimo aspetto, nel caso di specie, è parso assumere un particolare rilievo, a prescindere dalle modalità di pubblicizzazione delle prestazioni professionali dell’avvocato, per il fatto che le prestazioni stesse verrebbero effettuate nell’ambito di un’iniziativa che apparirebbe di natura commerciale, nella quale l’azienda che gestisce il circuito consente all’avvocato interessato ad essere inserito nel circuito stesso per prestare servizi a prezzi “scontati”. Tuttavia, la partecipazione dell’avvocato all’iniziativa in questione, secondo il parere espresso dal Consiglio nel 2009, potrebbe costituire una violazione del disposto dell’art. 19 del Codice Deontologico Forense che vieta l'accaparramento di clientela e quindi l'offerta di prestazioni professionali alla generalità indifferenziata di potenziali clienti, ed in genere l'acquisizione di rapporti di clientela a mezzo di agenzie o procacciatori o altri mezzi impropri ed il pagamento di una provvigione o qualsiasi altro compenso quale corrispettivo per la presentazione di un cliente.
Tale parere reso dall’Ordine di Firenze appare sostanzialmente in linea con quello del CNF del 16 luglio 2010, n. 33, secondo cui il divieto di accaparramento della clientela.
mantiene un disvalore anche attuale, pure se adeguato all’evoluzione della sensibilità della comunità professionale e della società. L’attività di acquisizione della clientela è – di per sé – lecita, tanto più oggi, da che l’ordinamento comunitario e l’interpretazione di svariate sue norme hanno posto in evidenza l’aspetto organizzativo, economico e concorrenziale dell’attività professionale.
Il disvalore deontologico continua a risiedere negli strumenti usati per l’acquisizione della clientela che non devono essere, per l’appunto, alcuno di quelli tipizzati in via esemplificativa nei canoni complementari dell’art. 19, non concretizzarsi nell’intermediazione di terzi (agenzie o procacciatori), né essere, più genericamente, “mezzi illeciti” o meglio (nella versione vigente, approvata il 14 dicembre 2006) che possano esplicarsi in “modi non conformi alla correttezza e decoro”.
L’articolo 19 del codice deontologico, dunque, vieta che per l’acquisizione di rapporti di clientela il professionista ricorra a mezzi illeciti e cioè assunti in violazione delle norme, sia di quelle dell’ordinamento generale sia di quelle disciplinari settoriali che delineano il corretto comportamento del professionista.
Il CNF ricorda che i canoni II e III di tale disposizione, introdotti nell’art.17 del codice deontologico il 27 gennaio 2006 e trasferiti all’art. 19 per ragioni sistematiche con la modificazione approvata il 14 dicembre 2006, sostanzialmente vietano l’offerta di prestazioni professionali, sia pubblica ed in incertam personam, sia privata.
Quanto all’evenienza di una prima consulenza gratuita, va preso atto della libertà per l’avvocato di stabilire il livello dei compensi, come consentito dalla legge e deontologicamente lecito nei limiti della proporzione con l’attività prestata.
In concreto, il CNF offre soltanto indici in base ai quali potranno, caso per caso, essere confrontate le condotte rilevate in fatto. Tra questi una verifica dell’inequivocità e dell’ambito dell’offerta, in particolare tesa a chiarire se si tratti della proposta di gratuità per una consulenza organica e completa ovvero di un primo generico inquadramento del problema, non oneroso per prassi diffusa e dunque messaggio potenzialmente decettivo e suggestivo; ovvero la presenza delle altre segnalazioni informative previste dall’art. 17. Potrà inoltre essere opportunamente soppesato ogni altro elemento della fattispecie concreta in grado d’illustrare la finalità che, con l’offerta di gratuità, si propone l’iscritto”.
Successivamente, il CNF, con il recente importante parere dell’11 luglio 2012, n.48, si è espresso sulle note vicende Azienda amica e Groupon, ritenendo che, nel caso specifico, la prestazione professionale proposta realizza un’offerta generalizzata al pubblico, il cui elemento distintivo è rappresentato dalla vantaggiosità dello sconto prospettato dal professionista offerente, mentre rimangono del tutto aspecifici ed indeterminati la natura e l’oggetto dell’attività al medesimo richiesta; parimenti, non vi è chiarezza sui parametri tariffari rispetto ai quali lo sconto è promesso.
Un ulteriore aspetto qualificante risiede nella natura onerosa del rapporto pluriennale che vincola il professionista aderente al titolare o gestore del sito web; il sito costituisce, infatti, un canale di informazione – concentrato sul prevalente aspetto della mera convenienza economica del servizio offerto – a fronte del quale l’aderente sostiene un costo periodico. Sotto il profilo della corrispettività delle prestazioni, dunque, il vantaggio offerto al professionista è rappresentato dalla possibilità di potere accedere in incertam personam ad un vasto ambito di potenziali clienti, semplicemente attratti dallo sconto.
La circostanza, pure segnalata dal Consiglio rimettente, che l’accesso ai siti (ed ai vantaggi che gli stessi mostrano di assicurare) sia riservato solo ai consumatori ivi iscritti, è apparso irrilevante, non alterando i margini ricostruttivi della questione.
A giudizio del CNF la fattispecie sopra descritta confligge con il divieto di accaparramento di clientela sancito dall’art. 19 del Codice deontologico forense; tale disposizione non consente all’avvocato di porre in essere condotte preordinate all’acquisizione di rapporti di clientela “con modi non conformi alla correttezza e decoro”.
La natura dei siti web in questione, nei quali l’offerta di prestazioni professionali può apparire promiscuamente insieme a proposte di ogni altro genere, tutte tra loro omogeneizzate dal dato della sola convenienza economica, comporta in re ipsa lo svilimento della prestazione professionale da contratto d’opera intellettuale a questione di puro prezzo.
Sempre secondo il CNF, ne risulta conseguentemente vulnerato il carattere intuitivo del rapporto tra l’avvocato ed il cliente, che dovrebbe fondarsi sulle credenziali di qualità della prestazione professionale prima ancora che su considerazioni di mera convenienza economica.
Aggiunge ancora il CNF che la diffusione, talvolta anche invasiva, delle forme di comunicazione per mezzo di Internet, seppure rappresenti una fenomenologia della quale deve prendersi atto in termini evolutivi, non può, peraltro, obliare ai valori fondanti della professione forense e dell’etica comportamentale dell’avvocato.
Nel caso esaminato dal CNF la funzione dei siti web interessati va ben oltre la pura pubblicità, proponendosi essi piuttosto di generare un vero e proprio contatto tra l’offerente ed il consumatore destinatario della proposta; in tale contesto il messaggio non si esaurisce nel fine promozionale, ma protende concretamente all’acquisizione del cliente.
Tale essendo il quadro di riferimento interpretativo, in relazione alla specifica vicenda oggetto del presente parere, occorre far riferimento ai canoni comportamentali precisati nell’art. 19 del Codice deontologico forense, al fine di verificare se essi possano lasciar spazio a valutazioni diversamente orientate.
Applicando in modo puntuale le considerazioni sopra richiamate, dovrebbe ritenersi che la società di servizi si ponga come soggetto interposto tra l’avvocato e il cliente, mettendo a disposizione dell’avvocato stesso la propria struttura operativa per consentirgli l’assunzione di incarichi; sotto tale profilo la vicenda potrebbe effettivamente integrare la violazione del canone I dell’art. 19 del Codice deontologico forense. Inoltre, le modalità di diffusione del messaggio potrebbero integrare la concorrente violazione del canone III dello stesso art. 19, il quale, letto in combinato con l’art. 60 del Codice deontologico forense, potrebbe interpretarsi, mediante l’estensione del divieto di raggiungere in via aspecificamente generalizzata il potenziale cliente, anche solo tramite gli strumenti di accesso alla rete Internet.
Tuttavia, tali considerazioni devono oggi essere integrate da una serie di ulteriori elementi, alla luce della recente legge di riforma dell’ordinamento forense. In particolare, rilevato come l’art.1, primo comma, di detta legge richiami il rispetto della disciplina comunitaria, occorre chiedersi quanto possa risultare compatibile con tale disciplina in materia di concorrenza l’attuale formulazione dell’art.19 del vigente codice deontologico. Inoltre, il menzionato giudizio di compatibilità dovrà essere effettuato anche in relazione all’art.3, comma 2, della medesima legge in cui si fa riferimento all’esercizio della professione forense nel rispetto dei principi di corretta e leale concorrenza.
Infine, l’esigenza di tipizzare i comportamenti suscettibili di sanzione disciplinare, espressa dall’art.3, comma 3, della nuova legge professionale, imporrà di ridefinire le norme impostate su clausole valutative generali e astratte.
Pertanto, la necessità di coniugare l’esercizio della professione con il rispetto dei principi in materia di concorrenza e di tipizzazione dell’illecito dovrà determinare una riscrittura dell’art.19 del codice deontologico. Nel frattempo, sarà necessario, in ogni caso, elaborare un’interpretazione coerente con i principi normativi sopra richiamati, che, sempre con riferimento al caso specifico in esame, potrebbe anche portare ad escludere la violazione dello stesso art.19, dopo aver effettuato, nella fattispecie in esame, un’attenta valutazione della specificità degli elementi della fattispecie concreta, in un’ottica di interpretazione evolutiva della norma medesima che tenga conto delle note difficoltà di coniugare i temi della concorrenza con la correttezza e il decoro professionali.