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parere

Avvocato. Producibilità della corrispondenza informativa.

La norma deontologica di riferimento è quella prevista dall’art. 28 del codice deontologico forense, la quale è stata dettata a salvaguardia del corretto svolgimento dell’attività professionale, con il fine di non consentire che leali rapporti tra colleghi possano dar luogo a conseguenze negative nello svolgimento della funzione difensiva, specie allorché le comunicazioni ovvero le missive contengano ammissioni o consapevolezze di torti ovvero proposte transattive. Ciò al fine di evitare la mortificazione dei principi di collaborazione che per contro sono alla base dell’attività legale.
Conseguentemente, come ritenuto dal Consiglio Nazionale Forense nelle pronunce di seguito citate, il divieto di produrre in giudizio la corrispondenza tra i professionisti contenente proposte transattive assume la valenza di un principio invalicabile di affidabilità e lealtà nei rapporti interprofessionali, quali che siano gli effetti processuali della produzione vietata, in quanto la norma mira a tutelare la riservatezza del mittente e la credibilità del destinatario, nel senso che il primo, quando scrive ad un collega di un proposito transattivo, non deve essere condizionato dal timore che il contenuto del documento possa essere valutato in giudizio contro le ragioni del suo cliente; mentre, il secondo, deve essere portatore di un indispensabile bagaglio di credibilità e lealtà che rappresenta la base del patrimonio di ogni avvocato.
La norma, peraltro, non è posta ad esclusiva tutela del legale emittente, ma anche all’attuazione della sostanziale difesa dei clienti che, attraverso la leale coltivazione di ipotesi transattive, possono realizzare una rapida e serena composizione della controversia.
Il Consiglio Nazionale ha costantemente affermato che il fondamento del precetto che vieta la produzione di lettere scambiate tra colleghi non soffre eccezione alcuna: “nemmeno il fine, certamente commendevole, di dare il massimo della tutela nell’interesse del proprio cliente, può giustificare la lesione del principio deontologico legato al dovere di riservatezza in ordine alle comunicazioni tra colleghi, vero cardine sul quale poggia la deontologia forense” (C.N.F. 25.01.2003, n. 154/02 R.G., che richiama C.N.F. 6 novembre 1995, n. 110).
Tale disposizione, pertanto, deve ritenersi inequivoca nel vietare qualsiasi valutazione da parte del destinatario del divieto circa una prevalenza dei doveri di verità o di difesa sul principio di affidabilità e di lealtà nei rapporti interprofessionali indipendentemente dagli effetti processuali della produzione vietata (Cons. Naz. Forense, 10.3.2013, n.58, id.20.7.2012 n. 100, id. 27.10.2010 n. 159).
L’unica deroga prevista rispetto a tale diniego è indicata dal primo comma dell’art. 28 secondo cui la corrispondenza tra colleghi è producibile quando sia stato perfezionato un accordo, di cui la stessa corrispondenza costituisca attuazione.
Peraltro, fermo restando il divieto generale illustrato, spetta al difensore che intende produrre tale corrispondenza valutare o meno se l’accordo debba considerarsi perfezionato; in mancanza di ciò deve trovare applicazione il divieto di portata generale espresso dall’art. 28 del codice deontologico.