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parere

Avvocato. Pubblicità informativa, limiti.

E' stato chiesto un parere in tema di pubblicità, la giurisprudenza delle Sezioni Unite ha posto in evidenza che ai fini della responsabilità disciplinare degli avvocati, la pubblicità informativa che lede il decoro e la dignità professionale costituisce illecito, ai sensi del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 38, poichè l'abrogazione del divieto di svolgere pubblicità informativa per le attività libero- professionali, stabilita dal D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 2, convertito nella L. 4 agosto 2006, n. 248, non preclude all'organo professionale di sanzionare le modalità ed il contenuto del messaggio pubblicitario, quando non è conforme a correttezza, in linea con quanto stabilito dagli artt. 17, 17 bis e 19 del codice deontologico forense. Tanto più che il D.P.R. 3 agosto 2012, n. 137, art. 4, al comma 2, statuisce che la pubblicità informativa deve essere funzionale all'oggetto, veritiera e corretta, non deve violare l'obbligo di segreto professionale e non deve essere equivoca, ingannevole o denigratoria (Cass. SU 13 novembre 2012, n. 19705; v. anche Cass. S.U. 10 agosto 2012, n. 14368).
A tal fine, invero, risulta irrilevante sia che il D.Lgs. 2 agosto 2007, n. 145, abbia disciplinato esaustivamente la materia della pubblicità ingannevole e comparativa, attribuendo i poteri sanzionatori all'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in quanto questi non attengono alle violazioni del codice di deontologia forense, sia che il D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 2, comma 1, lett. b), conv. dalla L. 4 agosto 2006, n. 248, consenta di svolgere pubblicità informativa, siccome la disposizione non incide sul rilievo disciplinare delle modalità e del contenuto con cui la pubblicità informativa è realizzata.
Pertanto, le disposizioni di cui al D.L. n. 223 del 2006, art. 2, convertito in L. n. 248 del 2006 non incidono "sul rilievo disciplinare delle modalità e del contenuto con cui la pubblicità informativa è realizzata" (Cass. S.U. 10 agosto 2012, n. 14368). E nulla autorizza una lettura della normativa comunitaria di riferimento nel senso che essa consenta la realizzazione della pubblicità professionale anche con modalità che siano lesive della dignità e del decoro della professione.
Ciò che rileva, in definitiva, non è il "diritto" al libero esercizio di una "pubblicità promozionale" dell'attività professionale, bensì esclusivamente la modalità secondo la quale detta pubblicità sia realizzabile nel doveroso rispetto di precisi e specifici limiti deontologici disciplinarmente rilevanti.
Con la nuova legge professionale forense, la disciplina di riferimento è quella introdotta dall’art.10, secondo cui testualmente:
“1. E' consentita all'avvocato la pubblicita' informativa sulla propria attivita' professionale, sull'organizzazione e struttura dello studio e sulle eventuali specializzazioni e titoli scientifici e professionali posseduti.
2. La pubblicita' e tutte le informazioni diffuse pubblicamente con qualunque mezzo, anche informatico, debbono essere trasparenti, veritiere, corrette e non devono essere comparative con altri professionisti, equivoche, ingannevoli, denigratorie o suggestive.
3. In ogni caso le informazioni offerte devono fare riferimento alla natura e ai limiti dell'obbligazione professionale.
4. L'inosservanza delle disposizioni del presente articolo costituisce illecito disciplinare.”
Tale essendo il quadro di riferimento normativo e giurisprudenziale, si può, in primo luogo, esaminare il quesito formulato sulla cosiddetta pubblicità tariffaria.
L’art.10 richiamato non prevede evidentemente che nel messaggio informativo possa inserirsi anche il tariffario di studio. In precedenza, l’art.2 sub b) del d.l. n.29/86, convertito nella legge n.248/2006, aveva annullato il divieto, anche parziale, di svolgere pubblicità informativa anche circa il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni, secondo criteri di trasparenza e di veridicità del messaggio, demandandone all’ordine professionale la verifica del rispetto. Tuttavia, il CNF, con decisione confermata dalle Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza 10 agosto 2012, n.14368, ha sanzionato l’avvocato per avere reclamizzato le proprie tariffe a forfait a mezzo di vetrofania. In ogni caso, proprio alla luce di tale pronuncia, sembrerebbe legittima un’indicazione preventiva delle proprie tariffe, purché queste naturalmente vengano in concreto rispettate, risultando un’affermazione trasparente, veritiera e corretta.
Deve, inoltre, rilevarsi che il riferimento alla natura e ai limiti dell’obbligazione professionale, contenuto nell’art.10, possa far ritenere che in tale ambito sia ricompresa anche la pubblicità tariffaria, quale elemento essenziale di tale obbligazione, purchè risponda ai requisiti indicati.
Per quanto concerne, invece, il secondo quesito sui mezzi di diffusione del messaggio informativo, l’art.10 della legge professionale che consente la diffusione anche in via informatica delle informazioni deve essere letto unitamente al disposto di cui all’art.19 del codice deontologico, in materia di divieto di accaparramento di clientela. Pertanto, sono vietati sia in generale comportamenti non conformi alla correttezza e al decoro professionale, sia, in particolare, l’offerta delle proprie prestazioni al domicilio degli utenti, nei luoghi di svago, di riposo e, in luoghi pubblici o aperti al pubblico.