1. Quesito. E’ stato richiesto a questo Consiglio un parere in merito alla questione di seguito descritta.
Un avvocato ha ricevuto l’incarico da una signora al fine di recuperare dall’ex marito la parte a carico di quest’ultimo pari al 50% delle spese straordinarie sostenute per il mantenimento della figlia minorenne. Poco dopo ha ricevuto la nomina per difendere la figlia, sempre minorenne, quale persona offesa nell’ambito di un procedimento penale dinanzi al Tribunale.
Riguardo al recupero delle spese straordinarie, l’incarico si esaurisce con una richiesta stragiudiziale alla quale la cliente non intende dar seguito.
Con rifermento alla difesa della figlia nel procedimento penale, viene presentata istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato a nome della madre, quale genitore esercente la responsabilità genitoriale sulla figlia minore e successivamente viene depositata la nomina a difensore della persona offesa al fine della costituzione di parte civile. Nelle more della celebrazione dell’udienza l’avvocato viene nominato difensore di fiducia dalla figlia minore (17 anni al momento della nomina) con verbale di identificazione ed elezione di domicilio e nomina di difensore in un procedimento penale nel quale risulta indagata, con notifica dell’atto al padre che aveva accompagnato la ragazza presso la stazione dei Carabinieri verbalizzanti. Anche in relazione a tale procedimento viene presentata istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato a nome della madre, quale esercente la responsabilità genitoriale sulla figlia minore.
Al colloquio avuto con la ragazza, a seguito della comunicazione della nomina e dell’invito al difensore a presenziare all’interrogatorio della minore, erano presenti sia la madre che il padre.
All’interrogatorio era presente solo il padre al fine di accompagnare la figlia minore, quale esercente la responsabilità genitoriale.
Successivamente la madre manifesta nuovamente l’intenzione di agire nei confronti dell’ex marito per il recupero delle spese straordinarie non rimborsate nella quota a carico del padre.
Viene quindi richiesto a questo Consiglio dell’Ordine di sapere se sia deontologicamente corretto continuare ad assistere la signora in azioni legali contro l’ex marito anche a seguito della difesa della figlia minore (nel frattempo divenuta maggiorenne).
2. Norme rilevanti e giurisprudenza. Viene in rilievo l’art. 24 del Codice deontologico forense (c.d.f.), il quale stabilisce che:
“1. L’avvocato deve astenersi dal prestare attività professionale quando questa possa determinare un conflitto con gli interessi della parte assistita e del cliente o interferire con lo svolgimento di altro incarico anche non professionale.
2. L’avvocato nell’esercizio dell’attività professionale deve conservare la propria indipendenza e difendere la propria libertà da pressioni o condizionamenti di ogni genere, anche correlati a interessi riguardanti la propria sfera personale.
3. Il conflitto di interessi sussiste anche nel caso in cui il nuovo mandato determini la violazione del segreto sulle informazioni fornite da altra parte assistita o cliente, la conoscenza degli affari di una parte possa favorire ingiustamente un’altra parte assistita o cliente, l’adempimento di un precedente mandato limiti l’indipendenza dell’avvocato nello svolgimento del nuovo incarico.
4. L’avvocato deve comunicare alla parte assistita e al cliente l’esistenza di circostanze impeditive per la prestazione dell’attività richiesta.
5. Il dovere di astensione sussiste anche se le parti aventi interessi confliggenti si rivolgano ad avvocati che siano partecipi di una stessa società di avvocati o associazione professionale o che esercitino negli stessi locali e collaborino professionalmente in maniera non occasionale.
6. La violazione dei doveri di cui ai commi 1, 3 e 5 comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da uno a tre anni. La violazione dei doveri di cui ai commi 2 e 4 comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della censura.”
Tali principi sono stati messi in evidenza dal Consiglio Nazionale Forense nelle proprie sentenze, dove si è sottolineato che l’avvocato deve garantire l’assoluta terzietà, al di sopra di ogni ragionevole dubbio, nell’espletamento della professione.
Così il C.N.F. nella sentenza n. 182 del 17 dicembre 2018 (vd. anche sentenza del 12 luglio 2016, n. 186):
“Affinché possa dirsi rispettato il canone deontologico posto dall’art. 24 cdf (già art. 37 codice previgente) non solo deve essere chiara la terzietà dell’avvocato, ma è altresì necessario che in alcun modo possano esservi situazioni o atteggiamenti tali da far intendere diversamente. La suddetta norma, invero, tutela la condizione astratta di imparzialità e di indipendenza dell’avvocato – e quindi anche la sola apparenza del conflitto – per il significato anche sociale che essa incorpora e trasmette alla collettività, alla luce dell’id quod plerumque accidit, sulla scorta di un giudizio convenzionale parametrato sul comportamento dell’uomo medio, avuto riguardo a tutte le circostanze e peculiarità del caso concreto, tra cui la natura del precedente e successivo incarico”.
La ratio dell’art. 24 c.d.f. è, per il Consiglio Nazionale forense, quella di “evitare situazioni che possano far dubitare della correttezza dell’operato dell’avvocato e, quindi, perché si verifichi l’illecito, è sufficiente che potenzialmente l’opera del professionista possa essere condizionata da rapporti di interesse con la controparte. “ La fattispecie configura “un illecito di pericolo, quindi l’asserita mancanza di danno è irrilevante perché il danno effettivo non è elemento costitutivo dell’illecito contestato. “(C.N.F. sentenza del 29 luglio 2016, n. 265)
La narrativa esposta nel quesito non evidenzia elementi di conflitto di interesse fra la madre e la figlia con riferimento alle possibili azioni nei confronti del padre per il recupero della quota di spese straordinarie a suo carico. Né pare esservi alcun elemento che faccia ritenere che le informazioni di cui l’avvocato possa venire a conoscenza possano in qualche modo danneggiare la difesa della madre o della figlia nelle cause in corso.
Né paiono esistere elementi di conflitto di interesse dell’avvocato della figlia, nominato dalla minore stessa, nei confronti del padre che ha assistito all’interrogatorio in qualità di genitore esercente la patria potestà in un procedimento nel quale la figlia è tuttora indagata.
Si precisa che, a seguito di integrazioni al quesito chieste da questo Consiglio, l’avvocato richiedente il parere ha precisato di non aver mai ricevuto mandato dal padre/marito parte della controversia di cui al parere richiesto.
Questo Consiglio ignora tuttavia le circostanze concrete che hanno dato o daranno luogo alle diverse azioni nei confronti del padre e della figlia. La valutazione espressa è pertanto limitata a quanto esposto nel quesito. Spetterà quindi all’avvocato stabilire se in concreto le fattispecie presentino aspetti per i quali possa rintracciarsi un conflitto fra gli interessi della madre e della figlia o fra gli interessi della madre/moglie e del padre/marito, tale da configurare, secondo l’interpretazione data all’art. 24 c.d.f. dalla giurisprudenza del CNF, una violazione dei doveri deontologici dell’avvocato.
3. Conclusioni. Viola l’art. 24 c.d.f. la condotta dell’avvocato che non garantisca la propria terzietà ed indipendenza nell’attività di difesa dei propri clienti, anche se l’esistenza di un conflitto di interessi sia solo apparente o potenziale. Spetterà tuttavia all’avvocato che valuti se assumere il mandato stabilire se nelle circostanze concrete possa sorgere un conflitto di interessi in grado di compromettere l’integrità della difesa anche di uno solo dei propri clienti.
Ciò detto circa il quesito, ci corre infine l’obbligo di precisare che:
– con la nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense “il potere disciplinare appartiene ai consigli distrettuali di disciplina forense” e dunque non rientra più tra i compiti e le prerogative del Consiglio dell’Ordine;
– ne consegue che i pareri in materia deontologica che gli iscritti richiedono al Consiglio dell’Ordine vengono da questo rilasciati in termini generali e non assumono né possono assumere, in eventuali procedimenti disciplinari, alcuna funzione orientativa né tantomeno vincolante del giudizio del Consiglio Distrettuale di Disciplina né rilevare quali esimente dell’iscritto sotto il profilo soggettivo;
– pertanto, è possibile che il Consiglio Distrettuale di Disciplina, nella sua autonoma valutazione di comportamenti concretamente tenuti, possa pervenire a conclusioni diverse da quelle fatte proprie dal Consiglio.