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parere

Avvocato. Ripartizione del compenso in caso di mandato congiunto e disgiunto qualora, in caso di una malattia invalidante, l’attività sia stata prestata unicamente da uno dei due difensori.

E’ stato chiesto se nell’ipotesi di due difensori che assistono lo stesso cliente, in virtù di mandato sia congiunto che disgiunto, dopo aver raggiunto con il cliente un accordo in forza del quale comunque sarebbe stato richiesto alla parte assistito il pagamento di un’unica prestazione professionale, comprensiva del compenso per entrambi i difensori (compenso che poi i due professionisti avrebbero provveduto a suddividere tra loro secondo criteri prestabiliti e fissi) quale debba essere la ripartizione dei compensi se per causa di forza maggiore, e più precisamente a causa di una malattia invalidante che abbia impedito all’altro di svolgere qualsiasi attività, l’intera attività professionale sia stata prestata da uno solo dei difensori, e in particolare se il difensore che non abbia potuto svolgere la sua attività possa chiedere parte dei compensi per l’attività svolta unicamente dall’altro, senza alcun contributo da parte del collega gravemente ammalato e, comunque, quale debba essere la ripartizione tra i due professionisti della responsabilità per l’attività prestata.
Il Consiglio dell’Ordine, ha precisato che anche in caso di mandato congiunto a due difensori vige la regola che l’avvocato ha il diritto al compenso (solo) per le prestazioni effettivamente eseguite.
Questa regola, dettata in linea generale per i rapporti tra l’avvocato e il cliente, deve valere, ovviamente, nel caso di due co-difensori, anche nei rapporti tra questi ultimi, salvo che tra gli stessi non siano intercorsi accordi di contenuto diverso.
Si tratta, peraltro, di norme civilistiche che regolano gli aspetti di natura prettamente giuridica, ovverosia che determinano il sorgere del diritto dell’avvocato al compenso, ma che non necessariamente possono essere applicati sic et simpliciter agli aspetti di natura deontologica, che rispondono a motivazioni e finalità diverse, e questo soprattutto in relazione al rapporto tra i due co-difensori che, proprio sotto il profilo deontologico, deve essere, comunque, improntato a principi di lealtà, correttezza e colleganza.
E' ovvio che il rispetto di detti principi non può portare necessariamente, nemmeno sotto il profilo deontologico, alla conseguenza che un avvocato debba ripartire con un altro collega, formalmente co-difensore, ma che di fatto non abbia svolto a causa di una sua infermità invalidante alcuna attività, un compenso che sia riferibile interamente e unicamente all’attività del primo.
Peraltro, sempre sotto il profilo deontologico, l’esame non può essere limitato alla semplice verifica di chi abbia svolto l’intera attività, bensì deve essere esteso, quanto meno, a quale era la situazione al momento del conferimento dell’incarico congiunto, quali erano in quel momento i rispettivi rapporti dei due difensori con il cliente e quali erano gli accordi tra i due difensori circa la ripartizione dei compiti, delle attività e dei compensi.
Solo per fare un esempio, se si fosse trattato di un cliente dell’avvocato che poi si sia trovato nell’impossibilità di concorrere all’attività difensiva per una sopravenuta infermità invalidante e se l’associazione dell’altro avvocato nella difesa abbia costituito una sorta di “società professionale”, se pur limitata a quel singolo mandato, il mancato riconoscimento di una qualsiasi parte del compenso al suddetto avvocato poi colpito dall’infermità invalidante potrebbe risultare contrario ai suindicati principi di lealtà, correttezza e colleganza.
Per fare, invece, un esempio assolutamente diverso, se il conferimento dell’incarico congiunto è avvenuto da parte del cliente a favore di entrambi gli avvocati su base assolutamente paritaria e senza alcun accordi di natura associativa, neppure nel senso sopra indicato, tra i due avvocati medesimi, il fatto che uno dei due non abbia potuto espletare il proprio incarico per una sopravvenuta infermità invalidante, rientra nel rischio che corre ciascun professionista e non potrebbe certamente determinare, nemmeno sotto il profilo deontologico, l’obbligo dell’altro avvocato di ripartire un compenso riferibile unicamente all’attività svolta da lui solo;
tra queste due ipotesi di segno assolutamente opposto, si può configurare tutta una serie di ipotesi intermedie di più difficile lettura e, in tal caso, l’avvocato, sotto l’aspetto deontologico dovrà, comunque, conformare la sua condotta ai sopra menzionati principi di lealtà, correttezza e colleganza.