1. Fatti e quesito. La vicenda rende necessaria una sintetica esposizione dei fatti che hanno dato luogo al quesito.
Gli Avvocati A e B si sono alternati, in virtù di più conferimenti e revoche di mandato, nell’assistenza della società XXX e dei soci YY in una vertenza riguardante sia la cessione di quote societarie da parte del socio WWW ai soci YY, che la tutela di un asserito credito della cliente XXX.
Il mandato originariamente conferito all’avv. A veniva poi revocato e i clienti si rivolgevano ad altro difensore, l’avv. B.
Successivamente la società XXX ed i soci YY conferivano nuovamente il medesimo incarico all’avv. A, che accettava dopo aver verificato l’avvenuta revoca del mandato al precedente difensore.
Con l’assistenza dell’avv. A la vertenza veniva transatta – sia sotto il profilo delle cessioni di quote che dell’asserito credito – tra la società XXX ed i soci YY, e l’altro socio WWW, assistito da altro Collega.
L’accordo stragiudiziale veniva refuso in una scrittura privata sottoscritta in duplice originale dalla società XXX e dai soci YY da una parte, e dal socio WWW dall’altra, scrittura costituita in deposito fiduciario ai due legali per espressa clausola, recante il divieto di divulgazione, non solo a terzi, ma anche alle stesse parti firmatarie.
Delle due copie “originali” una è custodita dall’avv. A mentre la seconda copia originale è custodita dal Collega che aveva assistito la controparte WWW.
Dopo la sottoscrizione della scrittura transattiva, la società XXX ed i soci YY revocavano nuovamente l’incarico all’avv. A, senza comunque muovere censure al suo operato.
In epoca ancora successiva la società XXX e i soci YY conferivano nuovo mandato all’avv. B, il quale richiedeva all’avv. A la trasmissione della documentazione con particolare riferimento:
a) alla consegna della copia dell’accordo stragiudiziale refuso nella scrittura privata sottoscritta in duplice originale costituente oggetto del deposito fiduciario;
b) copia della corrispondenza intercorsa in via riservata tra colleghi.
L’avv. A, in virtù del deposito fiduciario e del carattere riservato della corrispondenza, ha negato la trasmissione di quanto richiesto.
Gli avvocati A e B chiedono, dunque, a questo Consiglio dell’Ordine se tale diniego trovi o meno fondamento nelle regole deontologiche.
Esamineremo separatamente le due questioni, ovvero la trasmissione della scrittura oggetto di deposito fiduciario e la consegna di corrispondenza riservata.
2. Deposito Fiduciario – Norme rilevanti e giurisprudenza. Il presente parere si limiterà a trattare gli aspetti deontologici della vicenda senza entrare nel merito delle questioni riguardanti il subentro nel mandato difensivo da parte di altro collega.
La fattispecie sottoposta all’esame del Consiglio è configurabile come un deposito fiduciario di originale di un documento, sul cui contenuto (nella parte che qui rileva ovviamente) entrambi i richiedenti concordano ovvero che il medesimo sia stato costituito “..con espresso divieto di divulgazione, non solo a terzi, ma anche alle stesse parti firmatarie.” Non sono indicate in nessuna delle due richieste di parere le ragioni del divieto e le istruzioni specifiche e i termini per la riconsegna alle parti dei documenti affidati in deposito fiduciario.
La norma che regola il deposito fiduciario di somme (o documenti) è l’art. 30 del codice deontologico forense che, al quarto e quinto comma, stabilisce che: “IV. L’avvocato, in caso di deposito fiduciario, deve contestualmente ottenere istruzioni scritte ed attenervisi.
V. (…) La violazione dei doveri di cui ai commi 2 e 4 comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da sei mesi a un anno.”
Nel caso di specie le istruzioni sono chiare nel non consentire la consegna della scrittura né a terzi, né alle parti firmatarie, né, quindi, ai loro avvocati, quantomeno in base agli elementi forniti a questo Consiglio. Come detto, non sono specificati i termini e le modalità di riconsegna della suddetta scrittura.
La richiesta dell’avv. B indica la necessità dell’acquisizione dei documenti per il completo espletamento del mandato professionale.
La genericità del motivo addotto dal richiedente per la richiesta di trasmissione, il carattere pacifico dei divieti imposti al depositario e l’omesso richiamo di specifici motivi che, avendo a riferimento la regolamentazione del deposito, legittimerebbero la riconsegna, inducono a ritenere che quest’ultima venga richiesta al di fuori dei casi ammessi dall’atto costitutivo del deposito fiduciario.
A ciò si deve aggiungere che il deposito fiduciario di cui si discute appare altresì costituito anche nell’interesse della controparte: ai legali, in sintesi, è stato affidato l’incarico di impedire che i rispettivi clienti entrino in possesso dell’originale dell’atto.
Trattandosi di deposito nell’interesse anche della controparte “.. l’avvocato che sia depositario fiduciario di somme nell’interesse anche della controparte o di terzi non possa farne restituzione neppure al cliente. In caso di contestazione, invero, l’avvocato deve mettere a disposizione di tutti gli interessati le somme (ovvero i documenti) in deposito presso di lui, richiedendo se necessario l’intervento del Consiglio dell’ordine, o di un notaio, ovvero al limite la nomina di un sequestratario”. (Cfr. R. Danovi, Il nuovo codice deontologico forense: commentario, pag. 217).
Non potrebbe, dunque, ritenersi applicabile al caso di specie quella giurisprudenza del CNF che stabilisce che “la mancata restituzione di denaro o documentazione ricevuta in deposito fiduciario costituisce illecito disciplinare per violazione dei doveri di correttezza, diligenza, probità e dignità” (Consiglio Nazionale Forense – CNF – sentenza n. 64 del 29 luglio 2019). Tale giurisprudenza si riferisce infatti al caso in cui il depositante abbia effettuato il deposito unicamente nel proprio interesse e intenda chiedere al depositario la restituzione di quanto depositato.
Si conclude soffermandosi sulla questione relativa al venir meno del mandato fiduciario all’avvocato. Nel caso di revoca della procura alle liti conferita all’avvocato depositario la questione deve essere risolta ritenendo che l’istituto del deposito fiduciario sia del tutto autonomo rispetto al conferimento della procura alle liti: benché mandato e deposito fiduciario siano legati allo stesso rapporto di fiducia fra professionista e cliente, si deve ritenere che il venir meno della procura non determini automaticamente la cessazione degli obblighi relativi al deposito.
3. Consegna di documentazione riservata -Norme rilevanti e giurisprudenza. Altra parte del quesito riguarda la possibilità per l’avvocato di acquisire copia della corrispondenza intercorsa in via riservata tra colleghi (in particolare l’avv. B chiede la corrispondenza intercorsa fra l’avv. A e il Collega che assisteva la controparte).
Viene in rilievo il canone deontologico previsto dall’art. 48 del Codice deontologico forense (“c.d.f.”), rubricato “Divieto di produrre la corrispondenza scambiata con il collega”, che prevede al terzo e quarto comma che: “3. L’avvocato non deve consegnare al cliente e alla parte assistita la corrispondenza riservata tra colleghi; può, qualora venga meno il mandato professionale, consegnarla al collega che gli succede, a sua volta tenuto ad osservare il medesimo dovere di riservatezza.
4. L’abuso della clausola di riservatezza costituisce autonomo illecito disciplinare”.
Non viola quindi il divieto di consegna della corrispondenza riservata l’avvocato che consegni al collega che gli è succeduto nel mandato la corrispondenza qualificata come riservata. Permane per il nuovo difensore il divieto di fare uso in giudizio di tale corrispondenza.
A quanto appena affermato si aggiunge la considerazione che segue, diretta a fornire comunque l’orientamento di questo Consiglio qualora si volesse ritenere che l’utilizzo del verbo “può”, anziché “deve”, nella seconda parte del comma 3 dell’art 48 c.d.f. introduca una qualche discrezionalità del primo difensore con riferimento alla consegna della corrispondenza “riservata” al collega succedutogli nel mandato.
Si deve ritenere infatti che, benché dettato con il diverso fine di impedire che qualunque tipo di corrispondenza venga qualificata come “riservata” anche quando ciò non obbedisca alla ratio che ha ispirato i redattori del codice deontologico (ovvero la necessità di garantire la corretta e leale collaborazione fra colleghi) [1], il quarto comma costituisca comunque un canone interpretativo espressione di un principio generale che ricorda che anche l’applicazione delle norme deontologiche non può avvenire in maniera abusiva. Tale ratio può essere estesa anche all’interpretazione del terzo comma, soprattutto nella parte in cui, grazie all’utilizzo del verbo “può”, potrebbe concedere all’avvocato destinatario della corrispondenza riservata una qualche discrezionalità nel decidere se consegnare o meno tale corrispondenza al collega che gli sia succeduto nel mandato. Si ritiene quindi di interpretare il terzo comma dell’art. 48 c.d.f. affermando che, l’eventuale discrezionalità concessa all’avvocato dal terzo comma dell’art. 48 nel decidere se consegnare la corrispondenza riservata, non possa essere esercitata in maniera “abusiva”.
La corrispondenza “riservata” non può quindi essere trattenuta dal professionista per mere ragioni emulative o ritorsive nei confronti dell’ex cliente qualora la conoscenza di tale corrispondenza sia ritenuta importante per la difesa degli interessi dello stesso da parte del nuovo difensore.
Nel caso in esame questo Consiglio non ha una conoscenza dei fatti sufficiente a determinare se l’eventuale mancata consegna della corrispondenza riservata al nuovo difensore possa costituire un rifiuto abusivo che integra gli estremi dell’illecito disciplinare ai sensi del comma 4 dell’art. 48 c.d.f.
4. Il divieto di produrre in giudizio corrispondenza riservata. L’art. 48 c.d.f. specifica inoltre, al primo comma, che la corrispondenza riservata scambiata fra avvocati non può comunque essere prodotta in giudizio e la violazione di tale precetto comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della censura. Tale divieto riguarda anche la corrispondenza riservata consegnata dall’ex difensore al nuovo avvocato del medesimo cliente.
Il secondo comma dell’art 48 prevede due sole deroghe al divieto contenuto nel primo comma. L’avvocato può infatti produrre in giudizio la corrispondenza intercorsa con i colleghi qualora la stessa
a) costituisca perfezionamento e prova di un accordo
b) assicuri l’adempimento delle prestazioni richieste.
La norma deontologica è dettata a salvaguardia del corretto svolgimento dell’attività professionale e, salve le eccezioni previste espressamente, prevale persino sul dovere di difesa[2].
Si riporta qui sotto la giurisprudenza di questo consiglio sul tema richiamato dal richiedente. Con il parere del 29 ottobre 2015, nel quale si dà diffusamente atto del medesimo orientamento della giurisprudenza del CNF, questo Consiglio ha infatti stabilito che“(…) la stessa giurisprudenza del CNF non è sempre disposta ad una modulazione del divieto ex art 48 che tenga conto delle differenti tipologie dei giudizi nelle quali la corrispondenza fra colleghi può astrattamene assumere la natura di prova documentale. Sotto quest’ultimo aspetto, il CNF, con la sentenza 10.04.2013, n. 58, ha affermato che ‘… l’art 28 vieta di produrre in giudizio corrispondenza qualificata come riservata o comunque contenente proposte transattive scambiate tra colleghi; rimane, quindi, esclusa qualsiasi valutazione da parte del destinatario del divieto circa una prevalenza dei doveri di verità o di difesa sul principio di affidabilità lealtà nei rapporti interprofessionali indipendentemente dagli effetti processuali della produzione vietata.’
Inoltre, si segnala come la prevalenza nel bilanciamento di interessi fra la volontà di procurare al cliente il pieno esercizio del diritto di difesa da un lato e dall’altro, la necessità di assicurare affidabilità e lealtà nei rapporti di colleganza è risolta a favore di quest’ultima anche da un’altra pronuncia del CNF (cfr. sentenza 29.11.2012, n. 161). In particolare, nel suddetto provvedimento il CNF ha precisato che ‘… la produzione in giudizio di una lettera contenente una proposta transattiva configura per ciò solo la violazione della norma deontologica di cui all’art 28, precetto che non soffre eccezione alcuna, men che meno in vista del pur commendevole scopo di offrire il massimo della tutela nell’interesse del proprio cliente.’
Conclusivamente, deve ritenersi che, se si reputa che, così come per la corrispondenza definita riservata, anche per la corrispondenza relativa a proposte transattive ed alle conseguenti risposte, il divieto di produzione in giudizio, sancito dall’art 48 ( e prima dall’art 28 del c.d. previgente), debba valere anche in assenza di situazioni di danno potenziale per la controparte della trattativa poi non andata a buon fine; detto divieto sussiste a prescindere dalla tipologia del giudizio nel quale si intende produrre detta documentazione e dall’oggetto di esso”.
Secondo il Consiglio Nazionale Forense, inoltre, “l’art. 48 ncdf (già art. 28 codice previgente) vieta di produrre o riferire in giudizio la corrispondenza espressamente qualificata come riservata quale che ne sia il contenuto, nonché quella contenente proposte transattive scambiate con i colleghi a prescindere dalla suddetta clausola di riservatezza” (per tutte, CNF 27 settembre 2018, n. 110).
Né pare utile al fine di superare il divieto il parere della Commissione CNF n. 15 del 14 gennaio 2011 dove si legge: “In ipotesi di illecito penale e/o disciplinare, la lettera diviene il mezzo di commissione dell’illecito (onde sarebbe passibile di sequestro nel primo caso) ed opinare diversamente significherebbe far assurgere la riservatezza della corrispondenza a condizione di non punibilità per quanto di rilievo penale o disciplinare eventualmente contenuto nella stessa.
Talché l’avvocato ha sicuramente diritto di svolgere le azioni civili e/o penali e/o disciplinari qualora ritenga di essere stato offeso e/o ingiuriato per il tramite di una lettera utilizzando la stessa, trattandosi di legittimo esercizio di un diritto”. Si tratta infatti di ipotesi del tutto peculiare in cui è la stessa lettera indirizzata all’avvocato a costituire atto di commissione del reato da parte del legale.
Pare opportuno precisare, quanto all’autore della comunicazione, che è indifferente che si tratti di corrispondenza inviata o ricevuta, poiché, “mutatis mutandis, il precetto contenuto nell’art. 28 [ora art. 48 c.d.f.] non distingue tra corrispondenza inviata o ricevuta essendo il divieto di produzione generale e non colpito da alcuna eccezione” (vedi C.N.F., sent. n. 194/2017).
Anche se la corrispondenza proviene dallo stesso avvocato che vorrebbe depositarla in giudizio, pertanto, essa non può essere prodotta.
5. Conclusioni. Alla luce di quanto sopra, è possibile affermare che:
a) nel caso di deposito fiduciario, il professionista che si non attenga alle istruzioni ricevute compie illecito deontologico ex art. 30, comma 4, c.d.f: la violazione di tale dovere deontologico comporta, ai sensi dell’art. 30, comma 5, l’applicazione della sanzione disciplinare della sospensione da sei mesi a un anno;
b) la condotta del professionista che riconsegni al cliente la documentazione (nel caso di specie originale di scrittura privata) ricevuta a titolo di deposito fiduciario anche nell’interesse della controparte (o di terzi) senza il consenso di quest’ultima può configurare illecito disciplinare ex artt. 9, 10 e 30 c.d.f., considerato che, nel momento in cui accetta il deposito fiduciario, l’avvocato accetta l’incarico per conto del depositante ma anche nell’interesse di altra parte;
c) qualora si tratti di ipotesi di deposito fiduciario effettuato anche nell’interesse della controparte, l’avvocato depositario potrà liberarsi dal proprio obbligo di custodia solo con l’adempimento o con l’offerta formale di consegna e l’intervento del Consiglio dell’Ordine o di un Notaio;
d) l’avvocato il cui mandato sia stato revocato può consegnare al nuovo difensore la corrispondenza riservata fra colleghi. La discrezionalità concessa al difensore nel decidere se consegnare o meno la corrispondenza riservata non può essere utilizzata in maniera abusiva;
e) l’utilizzo in giudizio della corrispondenza qualificata come “riservata” integra violazione dell’art. 48 del Codice Deontologico Forense anche se prodotta da un difensore diverso da quello che ha formato la corrispondenza.
Ciò detto circa il quesito, ci corre infine l’obbligo di precisare che:
– con la nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense “il potere disciplinare appartiene ai consigli distrettuali di disciplina forense” e dunque non rientra più tra i compiti e le prerogative del Consiglio dell’Ordine;
– ne consegue che i pareri in materia deontologica che gli iscritti richiedono al Consiglio dell’Ordine vengono da questo rilasciati in termini generali e non assumono né possono assumere, in eventuali procedimenti disciplinari, alcuna funzione orientativa né tantomeno vincolante del giudizio del Consiglio Distrettuale di Disciplina né rilevare quali esimente dell’iscritto sotto il profilo soggettivo;
– pertanto, è possibile che il Consiglio Distrettuale di Disciplina, nella sua autonoma valutazione di comportamenti concretamente tenuti, possa pervenire a conclusioni diverse da quelle fatte proprie dal Consiglio.
NOTE:
[1] “La norma deontologica di cui all’art. 48 cdf (già art. 28 codice previgente) è stata dettata a salvaguardia del corretto svolgimento dell’attività professionale, con il fine di non consentire che leali rapporti tra colleghi potessero dar luogo a conseguenze negative nello svolgimento della funzione defensionale, specie allorché le comunicazioni ovvero le missive contengano ammissioni o consapevolezze di torti ovvero proposte transattive. Ciò al fine di evitare la mortificazione dei principi di collaborazione che per contro sono alla base dell’attività legale. Di tal chè il divieto di produrre in giudizio la corrispondenza tra i professionisti contenente proposte transattive assume la valenza di un principio invalicabile di affidabilità e lealtà nei rapporti interprofessionali, quali che siano gli effetti processuali della produzione vietata, in quanto la norma mira a tutelare la riservatezza del mittente e la credibilità del destinatario, nel senso che il primo, quando scrive ad un collega di un proposito transattivo, non deve essere condizionato dal timore che il contenuto del documento possa essere valutato in giudizio contro le ragioni del suo cliente; mentre, il secondo, deve essere portatore di un indispensabile bagaglio di credibilità e lealtà che rappresenta la base del patrimonio di ogni della controversia” così CNF, sentenza n. 181 del 19 dicembre 2019.
[2] «La riservatezza della corrispondenza tra Colleghi, che tutela in definitiva la libertà del Difensore nella conduzione della lite, costituisce un canone essenziale che prevale, peraltro, salve le eccezioni previste espressamente, persino sul dovere di difesa» (cfr., per tutti, C.N.F., sent. 110/2018; 99/2018; 194/2017)