Direttore Responsabile:

Susanna Della Felice

Coordinatore di Redazione:

Lapo Mariani

parere

Avvocato: sul rapporto di colleganza e il divieto di agire

1.  Quesito.

Viene sottoposto al Consiglio il seguente quesito.

Un’Avvocata ha collaborato con uno Studio associato, in particolare con un socio di tale Studio, oltre cinque anni fa. Dopo la conclusione di questo rapporto, un Cliente ha conferito allo Studio alcuni incarichi che sono giunti a termine. Successivamente, il medesimo Cliente ha chiesto servizi professionali all’Avvocata, includendo tra questi la richiesta di assisterlo per una controversia relativa al compenso professionale per le prestazioni precedentemente fornitegli dallo Studio.

Alla luce di questi fatti, l’Avvocata richiede un parere per valutare la presenza di eventuali profili di illecito deontologico nell’accettare l’incarico di rappresentanza e difesa contro il socio dello Studio con cui aveva precedentemente collaborato.

2.  Risposta al quesito.

Vengono in rilievo gli artt. 68, 38 e 42 del Codice deontologico forense (c.d.f.).

Stabilisce l’art 68 del c.d.f. (Assunzione di incarichi contro una parte già assistita) che:

“1. L’avvocato può assumere un incarico professionale contro una parte già assistita solo quando sia trascorso almeno un biennio dalla cessazione del rapporto professionale.

2. L’avvocato non deve assumere un incarico professionale contro una parte già assistita quando l’oggetto del nuovo incarico non sia estraneo a quello espletato in precedenza.

3. In ogni caso, è fatto divieto all’avvocato di utilizzare notizie acquisite in ragione del rapporto già esaurito.

(…)

6. La violazione dei divieti di cui al comma 1 e 4 comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da due a sei mesi. La violazione dei doveri e divieti di cui ai commi 2, 3 e 5 comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da uno a tre anni.”

Stabilisce l’art. 38 – Rapporto di colleganza.

1. L’avvocato che intenda promuovere un giudizio nei confronti di un collega per fatti attinenti all’esercizio della professione deve dargliene preventiva comunicazione per iscritto, salvo che l’avviso possa pregiudicare il diritto da tutelare.

2. (…)

3. (…)

4. La violazione del dovere di cui al comma 1 comporta l’applicazione della sanzione disciplinare dell’avvertimento. La violazione dei divieti di cui ai commi 2 e 3 comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della censura.

Stabilisce l’art. 42 c.d.f.– Notizie riguardanti il collega

1. L’avvocato non deve esprimere apprezzamenti denigratori sull’attività professionale di un collega.

2. L’avvocato non deve esibire in giudizio documenti relativi alla posizione personale del collega avversario né utilizzare notizie relative alla sua persona, salvo che il collega sia parte del giudizio e che l’utilizzo di tali documenti e notizie sia necessario alla tutela di un diritto.

3. La violazione dei divieti di cui ai precedenti commi comporta l’applicazione della sanzione disciplinare dell’avvertimento.

L’art. 68 c.d.f. impone all’avvocato il divieto di agire soltanto qualora l’azione sia diretta contro un ex cliente e non sia trascorso almeno un biennio dalla cessazione dell’incarico. La norma citata non è applicabile alla fattispecie descritta nel quesito poiché essa non riguarda un rapporto riferito a un cliente dell’avvocato, bensì un rapporto di collaborazione cessato da ben più di un biennio con un collega.

Le uniche norme applicabili sono dunque quelle di portata generale che riguardano il rapporto di colleganza e impongono all’avvocato che agisca contro un collega l’osservanza delle disposizioni previste dagli artt. 38, 42 e 46, comma 1, del c.d.f.

Ciò detto circa il quesito, ci corre infine l’obbligo di precisare che:

– con la nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense “il potere disciplinare appartiene ai consigli distrettuali di disciplina forense” e dunque non rientra più tra i compiti e le prerogative del Consiglio dell’Ordine;

– ne consegue che i pareri in materia deontologica che gli iscritti richiedono al Consiglio dell’Ordine vengono da questo rilasciati in termini generali e non assumono né possono assumere, in eventuali procedimenti disciplinari, alcuna funzione orientativa né tantomeno vincolante del giudizio del Consiglio Distrettuale di Disciplina né rilevare quali esimente dell’iscritto sotto il profilo soggettivo;

– pertanto, è possibile che il Consiglio Distrettuale di Disciplina, nella sua autonoma valutazione di comportamenti concretamente tenuti, possa pervenire a conclusioni diverse da quelle fatte proprie dal Consiglio.